Tutto è cominciato con il fallimento delle 4 banche: la bocciatura del piano governativo di salvataggio, applicazione per la prima volta, del meccanismo del bail in, vana ricerca di un colpevole su cui scaricare le proteste dei risparmiatori colpiti, primo scontro sulla “Germania a trazione tedesca” alla pre-riunione del Consiglio d’Europa. E’ quello l’innesco del brusco cambiamento di rotta del Governo Renzi nella politica verso l’Europa; da lì hanno origine i due temi del conflitto, uno sugli aiuti di Stato, l’altro sulla flessibilità di bilancio.
Quanto al primo tema, sulla bad bank le cose a Bruxelles non erano andate male. La Commissione porta a casa che il principio del divieto di aiuti di Stato è rispettato, il Tesoro che il suo piano è accettato. Che poi il compromesso non possa funzionare lo scrivono economisti e giornalisti (Isabella Bufacchi sul Sole di mercoledì li riassume in una raffica di interrogativi), e lo sanciscono impietosamente i mercati. Ma intanto i principii sono salvi.
Non altrettanto può dirsi per il bail in. Esso è stato voluto proprio per evitare che il salvataggio di una banca si traduca in un aiuto di Stato. Il no bail out è uno dei principii costituenti, dell’Unione e dell’euro. E invece, a sorpresa, il Governatore di Bankitalia al Forex ne ha messo in dubbio l’applicabilità da subito per l’Italia. Chissà come l’avranno presa a Francoforte.
Quanto all’altro tema di Renzi, quello della flessibilità, la richiesta non è nuova. Nuovo, oltre alle rivendicazioni di prestigio nazionalistico, è reclamarlo come un diritto, da difendere se necessario, anche rischiando lo scontro. Non approvare la nostra quota di aiuto alla Turchia perché blocchi le migrazioni che la attraversano, è un attacco velenoso alla Cancelliera Merkel proprio sul tema dove è in difficoltà: nel suo Paese, dopo i fatti di Colonia, in Europa, dopo le chiusure di frontiere messe in atto qua e là. Ed è stato preso come un ricatto.
Il pericolo è che ci piglino sul serio: cioè che le due polemiche, quella contro il vincolo del no bail out e quella contro il limite all’indebitamento, vengano lette come preludio a un rifiuto del vincolo estero e non come strumenti retorici, destinati più all’Italia che all’Europa. Due assurdità: è grazie all’euro che i risparmi degli italiani non sono falcidiati da inflazioni tipo Argentina, è grazie al QE della BCE di Draghi che il servizio del nostro debito pubblico non ci costa due ordini di grandezza di più dei decimali per cui mercanteggiamo a Bruxelles. Ma sono due assurdità dannose: perché polemizzare contro le regole del bail in non induce le banche a una migliore gestione, i risparmiatori a più prudenti investimenti, i magistrati a più rapida escussione delle garanzie. Perché concentrare l’attenzione sulla libertà di spendere di più distoglie dall’applicarla al dovere di costare di meno. Se si potessero licenziare un paio di commissari europei con la stessa facilità con cui si mandano a casa quattro commissari alla spending review, chissà dove saremmo.
Spending review è quasi sinonimo di riforma della PA, e io ho molte attese dalla riforma in corso. Nell’attesa che cosa può esibire Renzi quanto a enti inutili chiusi (ne aveva individuato 8000, se non sbaglio)? Quanto per la legge sulla concorrenza? Quali saranno i contenuti del Programma Nazionale di Riforma che deve presentare a Bruxelles entro Aprile? E poi, è proprio la logica dello scambio riforme – libertà di spesa che è sbagliata. Se una riforma aumenta l’efficienza del sistema “paga se stessa”; se invece aumenta la spesa, si creano rivoli di scambio politico, che poi bisogna riformare per eliminare.
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