Le Fondazioni pesano troppo nelle banche

giugno 25, 2005


Pubblicato In: Giornali, Il Messaggero

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Intervista

Il disegno di legge sul risparmio è nuovamente al centro di uno scontro politico: oggetto del contendere è un emendamento all’articolo 6 approvato dalle commissioni congiunte Finanza e Industria del Senato, con il quale si congela al 30% il diritto di voto delle Fondazioni nelle banche da loro possedute. Un emendamento che il senatore diessino Franco Debenedetti non solo auspica che venga mantenuto quando la legge passerà all’aula per l’approvazione, ma che giudica addirittura «insufficiente» a realizzare lo scopo che si propone, vale a dire che il patrimonio delle Fondazioni non sia usato per garantire gli assetti proprietari delle loro banche.

Ma Debenedetti ha un’altra preoccupazione, ovvero che i tempi di approvazione del disegno di legge sul Risparmio si allunghino ulteriormente.

Senatore, lei dunque teme che la legge non sarà approvata entro Testate?
«Se togliamo legge finanziaria e decreti da approvare, i giorni prima delle elezioni sono pochi: a volte mi assale la preoccupazione che non ce la si faccia addirittura in questa legislatura: perchè dopo la vicenda Parmalat, e non solo, non dare nessuna risposta sarebbe gravissimo verso i mercati finanziari e scandaloso verso i risparmiatori ».

Da cosa nascono questi timori?
«C’è una causa per i ritardi, che ha una sua logica. Sulla legge ci sono due tesi contrapposte: la prima immagina di rispondere agli scandali Parmalat, Cirio, Bond argentini e via dicendo, inasprendo le pene e moltiplicando i controlli. La seconda, non negando la necessità di intervenire sulle sanzioni e sui controlli, ritiene che il problema esiga una risposta sistemica, una risposta che riguarda la governance nel mondo bancario. In altre parole, in base alla prima tesi, le responsabilità andrebbero trovate solo nel sistema industriale; in base alla seconda, invece, esse non sono solo di chi i prestiti li ha ottenuti e dilapidati, ma anche di chi li ha concessi, magari rivendendo ai risparmiatori le relative obbligazioni: vale a dire il sistema finanziario a monte e a valle dell’impresa. Io appartengo a questa seconda scuola di pensiero».

Passiamo all’emendamento approvato giovedì che congela al 30% il diritto di voto delle Fondazioni nelle loro banche. La norma sembra andare nella direzione già tracciata dalla legge Ciampi che prevede un percorso in cui le Fondazioni devono gradualmente cedere il controllo delle banche per dedicarsi a compiti istituzionali al servizio del territorio e dei cittadini. Eppure le polemiche non si sono fatte attendere…
«Guardi, nel ’95 presi il premio Tarantelli per la migliore idea economica dell’anno, un progetto, elaborato insieme a Giavazzi, Penati e De Nicola, per far si che le Fondazioni monetizzassero il valore delle partecipazioni di controllo nelle “loro” banche. Il progetto ebbe il premio ma non approdò neanche alla discussione in Parlamento. A torto vengo indicato da alcuni come il nemico delle Fondazioni. Nulla di più falso: io sono il miglior difensore delle Fondazioni, dei loro patrimoni e della loro libertà di disporne per obiettivi di interesse per coloro che di quei patrimoni sono i veri “proprietari”, cioè i cittadini delle città e Regioni che con il loro lavoro, le loro imprese, i loro risparmi, hanno consentito che quei patrimoni si accumulassero negli anni, a volte nei secoli. Ma col detenere il controllo direttamente, come nel caso del Montepaschi, o col sostenere con altri un determinato assetto proprietario della banca, non si fa l’interesse di lungo termine degli aventi diritto al patrimomio delle Fondazioni».

Ci può spiegare meglio il perché?
«Un gestore oculato di un patrimonio si preoccupa sì del reddito, ma cerca anche di ridurre i rischi. E il sistema per ridurre i rischi è ripartirli. Invece l’impiegare il patrimonio per sostenere la proprietà, comporta una concentrazione di rischio che un gestore oculato di patrimonio non accetterebbe mai. Che vantaggio hanno i veri “proprietari” delle Fondazioni, i cittadini, dal sostenere un determinato assetto di potere al vertice di una banca? Tuttavia, seppure lentamente, grazie alla legge Ciampi, il problema si sta comunque avviando a soluzione».

Sull’emendamento, però, i Ds si sono divisi. Come mai?
«Tra i Ds ci sono stati alcuni nettamente favorevoli, altri che hanno espresso posizioni diverse. La polemica ha un suo “gusto” particolare perché nel Monte dei Paschi di Siena la Fondazione ha il controllo assoluto della banca e ì vertici della Fondazione so¬no di dichiarata ascendenza politica».

Le Fondazioni nacquero con la legge Amato con lo scopo di privatizzare le banche, aprirle al mercato, modernizzarle e renderle competitive a livello internazionale. Lei pensa che sia stato tradito lo spirito della legge?
«Amato stesso se lo è chiesto più volte. Io credo che Amato abbia avuto il merito indiscusso di avviare il processo, e di farlo rapidamente. Bisognava andare avanti: e in vece lì sono nate le resistenze, e la perdita di controllo da parte delle Fondazioni è stata lenta, faticosa, incompleta. La legge Ciampi offre rilevanti benefici fiscali alle Fondazioni che entro quest’anno cedono le loro partecipazioni di controllo nelle banche. L’emendamento richiama la legge».

L’Associazione delle Casse di Risparmio ha definito l’emendamento incostituzionale, richiamandosi ad una sentenza della Consulta che ha riconosciuto alle Fondazioni piena autonomia statuaria e gestionale, in quanto di natura privata. C’è anche chi sostiene che la norma va contro il mercato.
«Il primo argomento rimanda a un problema controverso, che io ritengo però infondato. Il secondo invece è del tutto pretestuoso. Ma come, forse che il controllo delle Fondazioni è sottoposto al giudizio del mercato, o non è invece vero che chi ne ha la gestione, chi decide come investire il capitale e come destinare il reddito è nominato dal pubblico? E’ logico che un patrimonio che appartiene a una città o a una Regione o a un’area geografica dove si è formato, sia sottoposto a un controllo pubblico e cioè politico. Ma ad una condizione».

Vale a dire?
«Che le Fondazioni facciano ciò che la legge prevede, cioè iniziative nel campo scientifico, dell’arte, della formazione, della valorizzazione del territorio e via dicendo. Per finanziarle bisogna che il patrimonio renda e si mantenga: evitando quindi di metterlo a rischio concentrandolo su un unico investimento».

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