Le conseguenze di una strategia troppo ambigua

maggio 5, 2005


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Il caso Calipari

Caro Direttore, quando un servitore dello Stato viene ucciso in missione, é dovuto non solo alla sua memoria, ma alla memoria del Paese, ricostruire la dinamica del fatto, individuarne gli autori e le eventuali colpe. Se ci sono responsabilità di un alleato, é giusto rivendicare il riconoscimento. Ma in Parlamento più che di verità giudiziaria, é di responsabilità politica che si deve parlare, responsabilità per la strategia adottata.

E allora bisognerà riconoscere che l’ambiguità ha connotato la vicenda Sgrena fin dall’inizio, e non solo, come scrive Stefano Folli ( I rapporti USA Italia e il bivio del Parlamento), gli sviluppi successivi all’uccisione di Calipari. L’Italia ha adottato la strategia della trattativa, della disponibilità a pagare riscatti, ben sapendo che essa é in aperto contrasto con quella adottata dai nostri alleati in caso di sequestri; e l’ha messa in atto nonostante i fatti si svolgessero nella zona da essi controllata. Un’altra manifestazione della brutta malattia italiana, per dirla con Giuliano Amato, di stare insieme agli altri e di fare di testa nostra.
Gli atti concreti sono conseguenza delle strategie adottate. La strategia era ambigua di per sè, lo sarebbe anche se mancassero i riscontri, che pure ci sono; e l’ambiguità strategica, lo si sa a priori, produce comportamenti ambigui sul campo, reticenze, ritardi, opacità, aumentando a dismisura i rischi. Nella vita di tutti i giorni, i rischi di malintesi; in situazioni come quelle attuali in Irak, la probabilità di tragici incidenti.

Sul problema assolutamente centrale del riscatto, l’ambiguità permane. Permane per il passato: discutiamo di regole di ingaggio per militari dei posti di blocco, ma nulla dice il Governo di come abbiamo ingaggiato gli intermediari. Permane per il futuro: mentre Giuliano Amato, in Senato, parlando a nome di tutto l’Ulivo, chiedeva al Governo di rendere esplicita una nostra politica al riguardo, anche per evitare di trasformare gli italiani in giro per il mondo in potenziali obbiettivi per rapitori, Berlusconi annuiva vistosamente. E quasi contemporaneamente Gianfranco Fini registrando Porta a Porta, negava che fosse stato pagato un riscatto.
Oggi Berlusconi viene in Parlamento a riferire sulla commissione di inchiesta. L’opposizione, scrive Stefano Folli, ha due strade: applaudire Berlusconi, qualora scegliesse di trasformare il caso in una “nuova super Sigonella”; oppure contestarlo, se, pur rivendicando la verità italiana, riaffermasse l’alleanza e l’amicizia di Washington. C’é un’altra strada per il centrosinistra: andare al cuore del problema, l’ambiguità della strategia adottata, e su questa interrogare e interrogarsi.

Interrogare perché, se è vero che l’opposizione é stata informata passo passo di quello che stava succedendo, é solo del Governo la responsabilità di avere voluto la commissione congiunta, nella convinzione – di tipico stampo berlusconiano – di riuscire a risolvere i problemi con i buoni rapporti personali; ed é tutta del Presidente del Consiglio l’imbarazzante gaffe di avere insinuato l’esistenza di dissidi tra Pentagono e Dipartimento di Stato.

Interrogarsi, perché, se è vero che la strategia di considerare la vita dei cittadini italiani primaria su qualsiasi altra considerazione è stata condivisa dalla sinistra, c’è una questione da mettere in chiaro da subito e in linea di principio, vale a dire i limiti della responsabilità che l’opposizione così si assume.

Si parla molto di iniziative bipartisan; molti, ed io tra quelli, le considerano potenzialmente utili, in alcune materie necessarie. Ma bisogna intendersi. Di fronte a un testo di legge, o a una nomina, ogni parlamentare dispone dello stesso potere, maggioranza e opposizione sono sullo stesso piano, differiscono solo per il numero dei voti di cui dispongono. Invece in una questione operativa, c’è una radicale, ineliminabile asimmetria tra chi ha il potere-dovere di comandare ed agire, e chi ha la facoltà di esprimere la propria opinione; tra chi può accedere a tutte le informazioni, e chi riceve solo quelle che gli vengono date. Quando si legifera, il velo di incertezza é garanzia di imparzialità. Quando si opera, le incertezze sulla linea di comando sono foriere solo di inefficienze o di insuccessi. Un principio strategico si concreta in decisioni operative, e queste sono necessariamente responsabilità di chi in quel momento ha in mano il timone della barca. Non tenerlo presente, é un’altra ambiguità da evitare: da una parte e dall’altra.

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