Le banche che vorremmo

ottobre 22, 2004


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Gli istituti di credito non hanno investito in imprese nuove

Il Banco di Santander é impegnato in una battaglia campale per conquistare Abbey National; ABN Ambro conduce una guerra di posizione contro Banca di Lodi e Capitalia per espugnare l’Antonveneto. Molti, di fronte a questi eventi, temono che le nostre banche, più piccole e meno efficienti, finiscano per essere fagocitate da concorrenti esteri, e, per scongiurarlo, invocano protezioni. Io suggerisco di spostare lo sguardo, dalle banche alle imprese, dove esse impiegano il risparmio.

Vediamo un panorama popolato da industrie manifatturiere – di cui molte sempre meno competitive – e carente di imprese di servizi, dalla distribuzione agli alberghi, dalla finanza ai “media entertainment”, dal SW alla logistica. Pessimo investitore, il nostro Paese: ha fatto le scelte sbagliate. In un paese socialista é lo Stato, in uno capitalista é il mercato finanziario che seleziona gli investimenti: da noi le banche hanno finanziato più la sopravvivenza dell’esistente che la crescita del nuovo. Perché? Forse che i nostri banchieri sono tutti meno bravi dei loro colleghi?

La ragione é sistemica: la nostra é un’economia in cui il merito di credito viene assegnato in base, anche, alle relazioni. Certo, le nomine bancarie non sono più fatte direttamente dal Tesoro: ma in molti casi il peso delle Fondazioni é ancora decisivo. Certo, abbiamo visto il consolidarsi di alcuni grandi gruppi bancari, e il riassorbirsi di crisi con perdite contenute: ma tutto sotto l’attenta regia e il rigido controllo di Bankitalia. Regia e controllo che perdurano: il mondo delle banche é schermato dalla concorrenza più importante, quella per il controllo. Abbiamo venduto aziende di stato, ma senza avere liberalizzato il sistema finanziario: tutto il contrario di quello che fecero sia Margaret Thatcher sia Ronald Reagan.
Il caso inglese é da manuale. Tranne la Aston Martin, non ci sono più fabbriche di auto di proprietà inglese: ma lo scorso anno la Gran Bretagna ha prodotto 1,7 milioni di vetture, il maggior tasso di crescita in Europa. La British Airways ha meno del 30% del mercato domestico (Alitalia il 40%, e ci lamentiamo): ma é una delle più grandi linee aeree del mondo, macina utili. British Telecom ha dovuto vendere la telefonia mobile, concentrarsi sul fisso e va benone. Il successo mondiale di Vodafone é partito dall’Inghilterra. E le banche? Banche blasonate sono state vendute o sono scomparse, ma le 4 rimaste sono grandi player internazionali.
Non ha senso replicare che il 12% del capitale delle nostre banche é già di proprietà estera: sono partecipazioni di minoranza che non dànno il controllo e a cui si impedisce di crescere. Non ha senso neppure subordinare l’apertura alla reciprocità: ci fa piacere vedere bandierine italiane sulla carta d’Europa, ma é a casa nostra che vogliamo avere banche efficienti nella gestione e lungimiranti negli investimenti. E’ a casa nostra che dobbiamo rompere con l’economia delle relazioni: siamo noi ad avere bisogno che irrompano soggetti nuovi.

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