Sotto il peso di 400 emendamenti e di 6000 subemendamenti – sul solo stralcio -, si è dovuto prendere atto che in assenza di un chiarimento politico con l’opposizione, il disegno di legge Maccanico è di fatto in stallo. Ben venga il chiarimento, purché non si limiti ad uno scambio tra necessità del Governo di vendere Stet e volontà del Polo di preservare gli assetti TV, e serva invece a ripensare¦ alcuni aspetti di fondo, in particolar modo uno delicatissimo, di natura istituzionale, che finora non aveva ricevuto adeguata attenzione.
In nuce il problema è questo: è bene allontanare il medico per curare il malato? Il malato è il nostro sistema delle comunicazioni, dominato da monopoli ed oligopoli; la medicina è la concorrenza; il medico chi della concorrenza è garante istituzionale: l’Antitrust, che i disegni di legge Maccanico rischiano di depotenziare.
Sarebbe un fatto doppiamente inaccettabile: sul piano istituzionale, alla vigilia di un processo di revisione costituzionale, in cui si spera che i valori di mercato e concorrenza trovino finalmente l’esplicito riconoscimento di beni pubblici; sul piano contingente, alla vigilia di un processo di apertura alla concorrenza, su cui deve vigilare l’autorità istituzionalmente preposta, con poteri semmai rafforzati.
La prima cosa che colpisce nella istituenda Autorità per le comunicazioni è la sua composizione: otto membri di nomina parlamentare, metà dal Senato e metà dalla Camera, con voto di lista. Cioè la lottizzazione per legge, la rappresentanza in luogo dell’indipendenza.
Nomina parlamentare, dunque più direttamente “forte” di quella dell’Antitrust; adozione della categoria della posizione dominante, quanto mai tipica dell’Antitrust; enormi poteri di intervento diretto su concentrazioni, fusioni e assetti proprietari, su cui l’Antitrust ha istituzionalmente il compito e organizzativamente le competenze per vigilare; attribuzione alla nuova Autorità delle competenze del Garante dell’Editoria: il disposto congiunto di tutto ciò indebolisce la funzione di garanzia di cui per legge l’Antitrust è il responsabile istituzionale.
E’ vero, sul piano formale la legge Maccanico è rispettosissima, attenta a non prestarsi a questa critica. Ma le istituzioni non sono meccanismi automatici, bensì organismi vivi, in particolare quelle dotate di autonomia proprio per poter seguire con maggiore prontezza il mutare delle condizioni esterne. Tant’è che il loro agire è fortemente marcato dalle personalità che le animano: basta ripensare alla storia di Banca d’Italia, Antitrust, Consob.
Gli estensori di questa legge ne vantano la completezza sistemica. In molti abbiamo considerato illuministica la pretesa di applicare in Italia oggi principi adottati la dove, prima di dare il via al gioco della concorrenza, si sono impiegati anni a far crescere i giocatori; o di ignorare che il nostro settore televisivo presenta anomalie che lo rendono unico al mondo. Abbiamo considerato rischioso scegliere di fronteggiare simultaneamente le opposizioni dei partiti Stet, RAI, Mediaset oltre a quella, scontata, di chi, pregiudizialmente contrario alla privatizzazione, questa legge ostacolerà comunque.
La volontà di creare una legge di sistema e di affidarne l’applicazione ad un’Autorità così “potente” consente di ricostruire il disegno politico sottostante. Esso era in fondo chiaro fin dalla passata legislatura, quando il tentativo di dare un quadro legislativo comune a tutte le autorità venne bloccato. Passò invece la tesi che la TV è un’altra cosa, che i media sono un mercato speciale che ha bisogno di “watchdog” con poteri ben più severi.
Esso era in fondo chiaro fin dalla passata legislatura, quando il tentativo di dare un quadro legislativo comune a tutte le autorità venne bloccato. Passò invece la tesi che la TV è un’altra cosa, che i media sono un mercato speciale che ha bisogno di “watchdog” con poteri ben più severi. Era chiaro fin da allora che si voleva non solo ridefinire spazi di mercato, ma disporre di uno strumento per poter esercitare una pressione continua su Mediaset e sul suo proprietario.
Date le premesse le conseguenze discendono con assoluta coerenza: se la TV è affare politico, i rapporti “concorrenziali” nel settore dei media sono di rilievo politico, dunque devono entrare nel gioco politico, e restarvi come ingrediente possibile di ogni futuro mercato politico; dunque gli organi dell’Autorità “indipendente” devono essere di nomina parlamentare a spartizione assicurata dal voto di lista. A questo disegno, la necessità di istituire l’autorità forniva l’occasione, la convergenza tecnologica l’ombrello di una visione “moderna e lungimirante” con cui coprirla.
L’inquinamento prodotto dal conflitto di interessi che ha marcato l’ingresso di Berlusconi in politica, e che a tutt’oggi attende una soluzione, produce così il suo peggiore effetto, quello di inquinare anche le buone ragioni di chi lo avversa. Il conflitto non si elimina riducendo le reti da tre a due. Il conflitto deve restare un problema per chi lo ha. Volere invece contenere il potere mediatico di Berlusconi con un’Autorità di diretta emanazione politica, significa scegliere di entrare da giocatori nella contesa sul conflitto di interessi. Anziché rifiutarlo, lo si istituzionalizza, dunque in qualche modo lo si legittima.
Gli scogli su cui si è arenato il provvedimento del Governo non rimandano quindi solo a problemi tattici. Resta l’esigenza di dare al Paese un quadro normativo per un settore così importante: ma è irrinunciabile, e anche utile per facilitare il passaggio in Parlamento, che l’Autorità sia riportata alla sua funzione di organo tecnico di regolazione, in materia tariffaria e di traduzione operativa dei principi di apertura dei mercati dettati da Bruxelles, lasciando alla sola Antitrust la tutela della concorrenza. Ricondotta a organo amministrativo, che non ha valori della collettività da difendere, ma solo tariffe da fissare, norme da applicare e principi da interpretare, la nuova autorità non può che essere di nomina governativa.
La sinistra ha dimostrato con questa legge, di cui è ispiratrice, significative aperture verso assetti di mercato concorrenziale: i cedimenti al partito Stet possono essere emendati, e del perpetuare la finzione del servizio pubblico RAI non è certo la sinistra la sola responsabile. Resta da fare un passo importante: riconoscere che solo la concorrenza può garantire il pluralismo. Cadrebbe allora la necessità di proteggerlo con strumenti speciali affidati ad autorità speciali: basterebbe porre condizioni più stringenti ed affidarne il controllo all’ Autorità già esistente.
ottobre 30, 1996