Ristabilire il rispetto dei ruoli: questo sembra essere la prima conseguenza “strutturale” della nomina di Guido Rossi al vertice di Stet-Telecom; a essere ottimisti, c’e’ da pensare che ne sia anche una ragione. Si passerebbe per ingenui negando il contenuto politico di tale carica, in tale momento. Ma occorre riportare gli amministratori al loro ruolo, quale e’ definito dal Codice civile ( art.2391): fare l’interesse della societa’; non farsi portatori di altri interessi, neppure di soci, neppure se a essere socio e’ il Governo: e ove sorga conflitto, astenersi. C’e’ da supporre che Guido Rossi sara’ rigoroso nell’ interpretare il proprio ruolo.
E’ difficile negare che con i passati amministratori questa distinzione di ruoli fosse, per usare un eufemismo, meno netta. Nominati per intese tra partiti, ai partiti facevano riferimento; piu’ che all’azienda e all’azionista IRI, o all’azionista ultimo, il Governo. E a chi osasse negarlo, basterebbe solo ricordare l’avventura MMP, la concessionaria di pubblicita’ di mezza stampa italiana, da Liberazione al Secolo d’Italia, capace di realizzare una perdita (preconsuntivo 1996) di 150 Mld su 200 di fatturato. Un modo, come dire?, indiretto di fare l’interesse dell’azienda.
Chiari i ruoli, ancor piu’ chiari i problemi: non necessariamente piu’ semplici. Qual’e’ infatti il massimo interesse della societa’? Mantenere quanto piu’ e per quanto piu’ tempo e’ possibile il proprio monopolio.
L’interesse dell’azienda Stet-Telecom e’ quindi potenzialmente in contrasto con quello dell’azienda Italia. Il Governo non puo’ perseguire il proprio obbiettivo impegnando gli amministratori ad azioni contrarie all’interesse aziendale: essendo azionista di maggioranza relativa, puo’ facilmente far prevalere la propria volonta’ in assemblea, esponendosi tuttavia a qualche rischio nei confronti di azionisti di minoranza eventualmente dissenzienti. Ma sono gli strumenti suoi propri, le leggi ed i regolamenti, che il Governo dovra’ prevalentemente usare. Sua, e non dell’azienda, e’ la responsabilita’ di dare al Paese un sistema concorrenziale nelle telecomunicazioni: cioe’ non solo eliminare il monopolio, ma anche ridurre la posizione dominante che Stet-Telecom ha acquisito in tanti anni, e che continuerebbe ad avere anche in regime liberalizzato, ove fosse mantenuta nel suo attuale perimetro aziendale e nell’attuale ambito concessorio.
Tra interesse aziendale e interesse nazionale possono anche emergere conflitti: la distinzione dei ruoli consentira’ che non si faccia confusione tra i due. Prendiamo il caso TIM.
Venderla e dare a Telecom un’altra licenza e’ chiaramente nell’interesse del paese: si attiverebbe la concorrenza, fra tre e non solo tra due gestori; si metterebbe in Borsa un titolo autonomo; riducendo la dimensione di Stet-Telecom, sarebbe piu’ facile individuare il nucleo duro all’atto della privatizzazione. E’ anche nell’interesse della capogruppo? Certamente, se si guarda all’incasso: ma se si guarda alle strategie di lungo termine, si entra ovviamente nell’opinabile.
Oppure il caso della golden share: essa e’ chiaramente contro l’interesse sia della societa’ che dei suoi azionisti, ma anche chi vi si oppone deve registrare che essa trova sostenitori sia a destra che a sinistra dello schieramento politico. E’ vero che, se non interverra’ il referendum abrogativo, la golden share e’ imposta per legge, e a essa, sia pure dissenziendo, Guido Rossi dovra’ piegarsi: anche se c’e’ una bella differenza tra la golden share di Bersani e quella di Bertinotti.
Indifendibile invece comunque il tentativo di inserirsi nel gioco – in Italia tutto politico- della televisione; anche, e’ bene ricordarlo, per gli ignobili machiavelli con cui e’ stato condotto, lasciando che i manager in Stream rivelassero i piani e i capi in Stet li smentissero, un giorno minimizzando, l’altro dispiegando sui giornali iattanza a doppia pagina.
Per avviare la transizione da azienda pubblica in regime di monopolio ad azienda privata in regime liberalizzato, il Governo piu’ che dall’interno, e cioe’ sull’azienda, dovra’ agire dall’esterno, e cioe’ sulle regole del gioco. E senza fare confusione tra i due tipi di intervento, ne’ tra i ruoli, ora che sono stati chiariti. Non e’ l’azienda che in questo, speriamo breve, periodo di transizione deve darsi una nuova strategia industriale e di alleanze, secondo una prima ed alquanto sorprendente dichiarazione di Ciampi.
Tanto piu’ adesso, strategia dell’azienda e’ solo quella di massimizzare il proprio valore: e solo con questo metro valutare dismissioni, investimenti, entrata in altri settori. Strategia del Governo e’ dare al paese un settore concorrenziale: e quindi attivare la concorrenza tra vari gestori di servizi ma soprattutto di infrastrutture. Per implementarla il Governo non deve attendere nulla, neppure l’avvio della privatizzazione. Al contrario, se procedera’ subito, la facilitera’, eliminando incertezze – e tentazioni- nell’elaborazione della strategia aziendale.
gennaio 29, 1997