Lavoro, uno Statuto bipartisan

aprile 25, 2008


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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“Caro Professore, perché si ostina a essere trattato come un cane in chiesa? Venga a prendere il posto che fu di Marco Biagi, in materia di lavoro avrà carta bianca”. Devono essere state queste, più o meno, le parole con cui Silvio Berlusconi ha chiesto a Pietro Ichino di fare il Ministro del lavoro nel suo nuovo Governo.

Letteralmente, sono le parole che Giuliano Cazzola avrebbe voluto che Berlusconi dicesse in campagna elettorale: e che il leader del PdL non pronunciò. Proprio per questo il rifiuto di Ichino va interpretato come un atto politico, non può in nessun modo etichettato come un cedimento al solito riflesso identitario della sinistra. Perché, a questa stregua, riflesso identitario sarebbe anche quello di Berlusconi, che non gli ha offerto la candidatura quando il farlo aveva un significato programmatico.

“Aiutare la destra” era la proposta provocatoria rivolta, prima delle elezioni (sul Sole24Ore del 10 e poi del 24 Febbraio), a quanti, intellettuali e commentatori, guardano criticamente all’attuale maggioranza, a quanti, magari stranieri, la considerano un’anomalia: suggerivo di mettere da parte convinzioni presenti e giudizi passati, e di rendersi disponibili a fertilizzare con le proprie idee ogni territorio politico, senza distinzioni di colore. Dopo le elezioni, sono ancora più convinto che la proposta abbia un senso. Si tratta di scegliere il luogo adatto.
In Consiglio dei Ministri, di qualunque cosa si discuta, le problematiche del lavoro c’entrano, in un modo o nell’altro. Solo per fare esempi recenti: entrano nella vicenda Alitalia, in quello delle morti bianche, nel regime fiscale delle retribuzioni e delle varie voci che le compongono. Entrano nel tema del tasso di fertilità –colgo l’occasione per ricordarlo perché è importante più di ogni altro e invece sempre dimenticato – l’Italia ha un rapporto tra i più bassi al mondo, e questo ci farà diventare sempre più un paese di vecchi e di immigrati. Siccome il mercato del lavoro entra dappertutto, il dicastero del Lavoro è costituente principale del profilo politico di un Governo. Inoltre, in Consiglio dei Ministri, la pluralità delle posizioni presenti nella maggioranza produce già delle tensioni: è nell’interesse stesso del governo che queste non vengano acuite, magari in modo strumentale, da altri elementi di vera o presunta diversità.

Dei provvedimenti di ogni governo, si dice che il 50% sono per rispondere ad emergenze, il 50% per adeguarsi a vincoli internazionali. Allora é piuttosto quello delle istituzioni il terreno adatto ad accogliere contributi intellettuali. Parlando di lavoro c’è pronto un tema di assoluto rilievo: la riscrittura dello Statuto dei Lavoratori. Quello dovuto a Gino Giugni è un testo a cui guardare con rispetto, ma ormai venerando: è cambiato tutto nei quasi 40 anni da che fu scritto, il modo di produrre e il modo di lavorare, il posto che ha l’impresa nella società e il tempo del lavoro nella vita di ognuno. La riforma degli assetti contrattuali, richiesta con determinazione due giorni fa dal prossimo Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, attiene ovviamente ai rapporti tra parti sindacali: ma è chiaro che anche la contrattazione avrebbe da guadagnare da una modernizzazione dello statuto. Ci sono forse timori, da una parte e dall’altra, che sconsigliano di metterci mano? Io credo che si prendano per rocciosi ostacoli quelle che sono solo vecchie crisalidi. Prendiamo il PD: quante cose sono cambiate, e in quanto poco tempo, se Giorgio Tonini, di fronte alla direzione regionale lombarda, pubblicamente un paio di giorni fa constatava che proprio le posizioni di Pietro Ichino, che fa erano per molti motivo di imbarazzo, tale che alcuni avrebbero voluto che neppure si toccassero in campagna elettorale, oggi sono una bandiera, a suo dire, da tutti invidiata. E allora, non può essere più utile affidare a Ichino, invece di una poltrona ministeriale, la presidenza di una commissione che elabori e proponga un nuovo testo di statuto? Non può essere più prestigioso per il giuslavorista milanese legare il proprio nome ad una legge che regolamenti i rapporti di lavoro nei prossimi decenni?

Se uno ha il coraggio di osare, sul piano istituzionale trova anche riforme più ambiziose. All’epoca della bicamerale, da diverse parti (me compreso) si propose di eliminare il CNEL, un ente di cui molti avranno appreso l’esistenza solo per averne letto ne l’Altra Casta da Stefano Livadiotti: e non si può dar loro torto. È probabile che le modifiche costituzionali in questa legislatura riguardino altri temi, il federalismo, forse i regolamenti parlamentari. Nel CNEL per levare le incrostazioni non basta lo scalpello: si fa prima cambiare tutto, perfino gli uscieri ( e vendere la prestigiosa sede). Ma sembra difficile negare l’utilità, direi la necessità, di una sede per affrontare con approccio istituzionale di medio periodo problemi internazionali – leggi flussi migratori- e territoriali – leggi questioni settentrionale e meridionale – . Con i braccialetti antistupro, i rimpatri forzati, improvvisando partiti del nord o del sud, non si va lontano.

Se è vero quel che si dice del PD in tema di lavoro, le campagne elettorali possono anche essere utili. Poi viene il tempo del governare, guardando anche oltre le cure quotidiane. L’offerta fatta a Ichino va giudicata comunque positivamente: dimostra che, almeno da una parte, il proposito di “aiutare la destra” non viene preso come una provocazione.

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