di Gabriele Galateri di Genola
Se è vero, come ha scritto Orazio Carabini sul Sole 24 Ore del 27 gennaio, che abbiamo scampato il pericolo di una crisi dagli effetti potenzialmente devastanti, è altrettanto vero che sono diffuse le preoccupazioni per una ripresa ancora troppo lenta e piena di ombre.
Condivido quindi la necessità di un progetto per l’Italia che sia in grado di mobilitare le ingenti risorse sottoutilizzate del nostro paese e di attivare un circolo virtuoso di investimenti, produttività, competitività, valore aggiunto e consumi. Una sfida difficile, perché si scontra con la necessità di finanziare gli ammortizzatori sociali, gestire il rientro dei disavanzi all’interno di trend più sicuri per la stabilità macroeconomica e di assorbire gli effetti della crisi finanziaria mondiale che in Italia rischiano di tradursi in una riduzione dei finanziamenti alle piccole e medie imprese. Per non parlare delle catastrofi naturali che ci hanno colpito nell’anno appena chiuso.
Non possiamo che essere riconoscenti al governo e in particolare al ministro Tremonti, per aver tenuto ferma la barra del timone dei conti pubblici evitando il rischio di crisi di credibilità sui mercati finanziari internazionali, di cui tutti avremmo pagato le conseguenze. Il caso della Grecia insegna.
Quindi occorre intervenire subito, ma occorre farlo con precisione. Dobbiamo concentraci su quei progetti che richiedono uno sforzo gestibile in termini di risorse pubbliche, ma che siano in grado d’attivare processi duraturi di sviluppo endogeno al sistema economico.
Carabini propone che questo progetto possa essere lo sviluppo di una rete di comunicazione a banda larga in grado di fornire a tutti i cittadini velocità di connessione fino a 100 Megabit al secondo. Non posso che essere d’accordo, ma propongo di porre come principale obiettivo di un progetto per l’Italia la creazione di un ecosistema digitale a cui tutti possano accedere e in cui i processi amministrativi, organizzativi e produttivi possano sfruttare la velocità, la pervasività e l’economicità delle tecnologie digitali.
Di fatto è questo il vero motore dello sviluppo. In un recente rapporto, Confindustria ha evidenziato come i risparmi possibili dalla sola digitalizzazione della pubblica amministrazione ammonterebbero ad almeno 3 o 4 miliardi all’anno, ma ancora più significativi sarebbero i guadagni in termini d’efficienza, minori costi della burocrazia e migliore qualità dei servizi pubblici. Dalla sanità alla giustizia, dalla scuola ai trasporti. Se anche le imprese di minore dimensione utilizzassero maggiormente le opportunità offerte dall’innovazione digitale come già fanno le grandi e medie imprese, la loro produttività aumenterebbe di almeno il 10% e ancora più forte sarebbe l’effetto sulla competitività e sulla capacità di raggiungere nuovi mercati di sbocco.
L’accelerazione dell’alfabetizzazione digitale attiverebbe un circolo virtuoso con benefici esponenziali. La crescita di un ecosistema digitale è, inoltre, un fattore centrale per la sostenibilità in quanto permette l’utilizzo più efficiente delle scarse risorse energetiche disponibili. La riduzione della mobilità, il monitoraggio dei consumi, l’ottimizzazione dei motori e la gestione integrata delle fonti energetiche permetterebbero di risparmiare centinaia di milioni di tonnellate di CO2, lasciando ai nostri figli e ai nostri nipoti un pianeta un po’ più pulito e piacevole da vivere.
Questo obiettivo non può essere raggiunto senza lo sviluppo della rete d’infrastrutture. Ma occorre chiarire bene di cosa stiamo parlando, altrimenti rischiamo che la luminosità dell’obiettivo ci nasconda la strada per raggiungerlo.
Innanzitutto, occorre distinguere gli interventi necessari per l’eliminazione del divario infrastrutturale (cosiddetto digital divide) che ancora oggi è presente nel nostro territorio, dallo sviluppo della rete di telecomunicazioni ad altissima velocità e in particolare dalla diffusione della fibra ottica. Sul fronte del primo problema c’è da dire che ancora oggi circa il 10% della popolazione italiana non ha accesso a una connessione Adsl in grado di fornire una velocità pari o superiore ai 2 Megabit al secondo. Si tratta di aree del nostro paese, presenti tanto al Sud quanto al Nord e a volte anche molto circoscritte, nella quali le condizioni orografiche, o la scarsa densità abitativa, rendono non redditizio un investimento dell’operatore telefonico. Queste aree sono spesso definite “a fallimento di mercato”, anche se a ben guardare non si tratta di un fallimento, quanto di un’assenza stessa del mercato.
In queste aree è indispensabile un intervento pubblico per incentivare l’investimento privato, assicurando un ritorno equo, ma compatibile con le ferree condizioni di mercato a cui tutte le imprese private e in modo particolare quelle quotate, devono sottostare. La Commissione europea ha stabilito con grande chiarezza le regole in base alle quali l’intervento pubblico deve essere realizzato, in modo da non alterare la concorrenza tra gli operatori di telecomunicazione nei mercati interessati.
A partire dalla neutralità delle tecnologie che possono essere impiegate, la cui scelta dovrebbe essere guidata solo da ragioni di efficienza. Per questo se in molte aree a “fallimento di mercato” è stata potenziata la rete fissa d’accesso (quella che arriva in tutte le case) per assicurare un collegamento superiore ad almeno uno o due megabit al secondo, in altre sono state utilizzate tecnologie radio, come il wimax, l’hiperlan o la banda larga mobile. La scelta dipende generalmente dai costi d’infrastrutturazione e dalla densità degli utenti. Poiché con le tecnologie radio tutti gli utenti di una data area condividono la stessa ampiezza di banda, maggiore è il numero delle connessioni contemporanee, minore è la velocità effettiva di connessione. Sia le tecnologie della rete fissa che quelle della rete mobile stanno evolvendo rapidamente, così come le esigenze degli utenti. La scelta delle tecnologie per affrontare il divario digitale non può quindi essere guidata o condizionata da pregiudizi o interessi particolari, ma dovrebbe essere sempre il risultato di un confronto tra obiettivi di medio periodo, costi e prestazioni.
Il Piano elaborato dal viceministro Romani va in questa direzione. Così come molti degli Accordi di programma-quadro che le regioni più sensibili alla riduzione del divario digitale hanno siglato con il ministero dello Sviluppo economico.
Il costo dell’eliminazione pressoché totale del divario digitale ancora esistente, affrontato con i termini che ho appena descritto, viene stimata in circa 1,5 miliardi, di cui una parte (circa 250 milioni) a carico degli operatori privati. Un intervento ben lontano dai circa 10 miliardi necessari per portare la banda ultralarga (oltre i 50 megabit al secondo) a circa il 70% della popolazione, che è il secondo e ben distinto problema. Un problema che, proprio per la sua ingente dimensione finanziaria, richiederà il contributo di una molteplicità di soggetti, pubblici e privati, nella misura e nelle forme che il mercato e le regole che lo governano definiranno.
È certo comunque che l’eliminazione del divario digitale avrebbe un effetto consistente di stimolo immediato per gran parte della filiera Ict e permetterebbe l’avvio di un ampio processo di digitalizzazione dell’economia, che a quel punto sarebbe possibile con uno switch-off simile a quello in corso per il Dtt.
La strada da seguire è ben conosciuta. Il piano Romani e il piano Brunetta ne rappresentano le prime importanti pietre su cui costruire. Le prossime elezioni regionali rappresentano un’importante occasione per mettere a fuoco le strategie d’intervento nei singoli territori e impegnare i candidati su precisi programmi d’intervento in questa direzione. Quindi guardiamo pure allo sviluppo delle reti di telecomunicazione come il progetto “Italia”, ma cominciamo subito ad operare per l’eliminazione del divario digitale e per l’alfabetizzazione digitale del paese. Se saremo in grado di realizzare rapidamente questi primi, ma fondamentali passi, il resto del cammino troverà facilmente una rapida risposta dagli operatori sul mercato e darà una spinta fenomenale all’industria nazionale dell’Ict.
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