L’autoscontro dei torti su mamma Rai

giugno 13, 2010


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di Alessandro De Nicola

Con la Rai non ti sbagli mai. Ogni volta che politici, amministratori e giornalisti intervengono sulle reti televisive pubbliche c’è la quasi automatica certezza di assistere allo scontro tra due torti. Capisco l’esasperazione di Luca di Montezemolo all’effluvio di notizie su Santoro sì, Santoro no, Dandini forse, ma quando si parla della governance di una società pubblica che ha ricavi per 3 miliardi abbondanti di euro si affronta un problema che è un po’ lo specchio dei mali che affliggono il paese.

Prendiamo la pubblicazione degli stipendi dei conduttori a fine trasmissione. Possiamo fare due considerazioni: la prima è che non si vede in nessuna parte del mondo (non lo so, magari in Zimbabwe) e quindi dovrebbe venire il sospetto che si tratti di una misura un po’ ridicola; la seconda è che – come ha rilevato l’Antitrust – si rischia di imporre una misura anticoncorrenziale, in quanto con la trasparenza dei compensi si può creare un cartello dei produttori. Meno credibile la paura del presidente Garimberti che in questo modo Mediaset soffi talenti alla Rai: se vuoi assumere qualcuno vai da lui, gli fai un’offerta e se gli va bene, bene, altrimenti amici come prima. Tutto ciò a non voler sospettare che queste notizie sono riservate solo in teoria, perché in pratica gli insider del mestiere sanno tutto ciò che serve.

Andiamo avanti: arriva Calderoli e inserisce nei provvedimenti del Consiglio dei ministri un bel taglio alle spese per i collaboratori esterni della Rai del 20% e un diktat per il quale i costi del personale non devono superare il 25% di quelli complessivi. Ai dirigenti Rai, invece, nessuna tosatura del 5 o 10% dei salari come per quelli pubblici per rischi di incostituzionalità. Il provvedimento sembra bizzarro: se un’azienda come la Rai perde 5 milioni nel 2007, 7 nel 2008 e 62 nel 2009 e i ricavi che tengono sono solo quelli del canone (una tassa vera e propria) un’azionista che si rispetti ha tre scelte. La prima è licenziare in blocco consiglio di amministrazione e top manager. Figuriamoci, sono espressioni dei partiti, mica di un socio attento alla cultura dei bilanci. Seconda possibilità, prescrivere una decurtazione dei costi e ridurre il personale sovrabbondante, ma anche questo non si farà mai per mancanza di volontà. Terzo, tagliare gli investimenti e quindi diminuire il canone. Macché.

Imporre un limite alla percentuale di costo del personale e alla scelta tra collaboratori esterni e interni è una scelta di gestione che spetta al management, il quale dovrebbe essere in grado di capire qual è l’alternativa che rende la Rai più competitiva. Purtroppo, il management non sceglie né risana, il governo non lo sostituisce e allora vengono fuori queste trovate. Nel frattempo gli italiani pagano il fio.

Una cosa giusta però Calderoli l’ha detta, preceduto pochi giorni prima da Brunetta. Fosse per lui, privatizzerebbe due reti Rai perché una basta per il servizio pubblico. A esser precisi un errorino c’è anche qui, nel senso che per garantire il servizio pubblico (ammesso che serva) basta una convenzione con una tv privata. Ma lo applaudiremmo lo stesso volentieri se lui e il ministro veneziano presentassero un progetto di legge per un’offerta pubblica di vendita del 100% di una società proprietaria di due reti e di tutti i canali satellitari messi in pista dalla Rai. Sospetto che anche questa volta terremo le mani in tasca.

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