Cosa chiede Franco Debenedetti, presidente della Fondazione Olivetti, a un Governo e a uno Stato progressista? «Che non intervenga direttamente in economia come produttore di beni e come unico erogatore di servizi. Chiediamo soprattutto un quadro chiaro di regole che inseriscano dovunque nel mercato elementi di concorrenzialità. Ma il Governo dovrebbe anche e soprattutto svolgere un ruolo di stimolo che consiste nell’individuazione dei veri orizzonti strategici per le imprese. E dovrebbe anche intervenire per evitare la spaccatura tra posti di lavoro ben protetti, che finiscono inevitabilmente per introdurre elementi di distorsione nella concorrenza, e occupazioni più incerte».
L’occupazione resta il problema centrale. Quali ricette propone Il Club degli imprenditori confluito in Ad?
Occorre evitare che la disoccupazione diventi una condizione eterna. Chi è uscito dal mercato del lavoro da oltre un anno vede cadere le possibilità di rientrare nel circuito. Non bisogna rendere il sussidio di disoccupazione un provvedimento a vita. Bisogna incentivare e mobilitare le energie di ciascuno. I contratti di solidarietà e le settimane cortissime sono tutti strumenti, seppure a salario ridotto, che mantengono il lavoratore all’interno del mondo della produzione, evitando che le professionalità vengano disperse e preziose competenze vengano sprecate. Il mercato del lavoro soffre ancora di troppa rigidità. Ed è proprio questo vincolo a rappresentare la principale causa dell’attuale disoccupazione.
Come giudica l’affermazione di Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione comunista, «riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario»?
Sarebbe un vero e proprio disastro. E un’affermazione che va esattamente nella direzione opposta alla nostra. Credo comunque che questa opinione sia assai isolata nel dibattito economico del polo progressista. E il fatto che sia così, non può che confortarmi.
Tweet
febbraio 12, 1994