Dopo Tangentopoli, affittopoli, invalidopoli, e poi concorsi universitari, e militari quanto basta per un paio di reggimenti. Aumenta il numero delle persone coinvolte, fino a comprendere conoscenti, amici: chi, in cuor suo, può dirsi completamente innocente? Chi può pensare di processare 10 mila invalidi o 5 mila militari? E allora c’è sempre qualche nobile spirito che invita alla flagellazione: non c’è nulla da fare, siamo un paese di ladri e di corrotti, geneticamente diversi dagli altri popoli, usi a sotterfugi e furberie. A parte il fatto che, se così fosse davvero, neppure la flagellazione ci riscatterebbe, né qualche tonante articolo ci farebbe cambiare abitudini, è poi vero che siamo diversi? Non si vogliono certo né negare né assolvere certi comportamenti: ma le autocondanne generiche servono a poco.
Quello che sembra essere peculiare della situazione italiana è la diffusione a basso livello di favori, complicità, da propiziare con raccomandazioni o da acquistare con corruzione. La ‘grande’ corruzione, quella tra mondo degli affari e mondo della politica, non pare essere prerogativa nostra. Il segretario della Nato Claes è stato costretto alle dimissioni da accuse di bustarelle: certo, di provenienza dell’italiana Agusta, ma proprio in Olanda la Lockheed aveva già procurato qualche imbarazzo. Noi abbiamo avuto lo scandalo Atlanta, ma un giovanotto ha fatto fallire la banca della regina d’Inghilterra. Noi abbiamo avuto il crack Ferruzzi, altri quelli Maxwell, BCCI, Metallgesellschaft, Credit Lyonnais, Alcatel: è con riferimento a essi che il Financial Times ha ammonito: «C’è qualcosa di marcio nelle società europee».
Da noi è l’inefficiente onnipresenza dello Stato a propiziare una diffusa corruzione. Il circolo tra prelievo fiscale e servizi erogati è talmente lungo e tortuoso, che si perde la percezione della relazione tra i due momenti. Con il che si ritorna alla necessità di una riforma in senso federalista e decentrato dell’amministrazione. Soluzione sulla quale tutti sono d’accordo, salvo poi opporsi alla sua applicazione. Certo, a molto serviranno le privatizzazioni, che riducono l’area di attività economica di pertinenza dello Stato e dell’amministrazione.
Nel frattempo dobbiamo proprio solo accontentarci di appelli moralistici, di nobili prediche e di pubbliche autoflagellazioni?
In attesa di riforme strutturali, molto potrebbe fare l’esempio. E l’esempio, come si dice, vien dall’alto: una classe dirigente che sappia cambiare i suoi comportamenti, una squadra di governo coesa potrebbe modificare i comportamenti collettivi senza dover cacciare e infierire. L’efficienza, da parte di chi ha la responsabilità ministeriale dell’amministrazione, non ha solo conseguenze economiche sui bilanci dello Stato, ma anche morali sui comportamenti dei cittadini. William Pitt riuscì in cinque anni, a metà del Settecento, a ridare spirito nazionale all’Inghilterra: e tutto si basò sull’esemplare onestà con cui amministrò, nello stupore generale, le magre casse dell’esercito affidatogli.
Senza voler con questo giustificare nessuno, chi può sostenere che le raccomandazioni e la ricerca di complicità non abbiano finora pagato?
Ministri che consentono una tale degenerazione della vertenza nel trasporto aereo, ministri che mostrano di aver più a cuore gli interessi del monopolista telefonico anziché i vantaggi per utenti e imprenditori dell’apertura di nuovi mercati, costano alla collettività anche in termini di perdita di fiducia nell’amministrazione. Una squadra di governo che fosse composta tutta da persone serie e coerenti come il ministro Frattini, che esibisse la professionalità del Tesoro, e che durasse quattro-cinque anni, farebbe di più per la moralità pubblica che non grida, appelli e inapplicabili sanzioni.
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novembre 30, 1995