di Romanno Prodi
Margaret Thatcher ha cambiato più di tutti il suo paese e ha cambiato l’ idea stessa dello stato che fino ad allora era prevalente nel mondo occidentale. Diciamolo come va detto: la Thatcher ha ridotto lo stato a niente. Come nessun altro ha inteso modificare alla radice il patto fiscale tra cittadini e ha dato forma politica e dignità istituzionale alla ribellione anti-tasse trasformandola in una vera e propria dottrina economica diventata addirittura senso comune.
È partita dalla sua testa la nuova corrente di pensiero economico e sociale che solo in un secondo momento diventerà anche la dottrina applicata da Ronald Reagan e identificata dalla vulgata comune come Reaganomics.
In una prima fase Margaret Thatcher interpretò bene il pensiero comune antiburocrazia e ciò le valse una straordinaria popolarità ma in un secondo momento, oggi va detto con la franchezza e serenità di analisi che permette la distanza di tempo da quegli anni, la dottrina Thatcher aumentò le disparità tra ricchi e poveri.
Oggi non si può non notare come la matrice innovativa delle idee thatcheriane si sia poi scontrata con fasi applicativi a dir poco drastiche che hanno finito con lo svuotare la carica di innovazione di quelle stesse politiche e hanno anzi creato le condizioni per l’esplosione della più drammatica crisi finanziaria ( e ormai anche economica) del dopoguerra. Oggi però diventa legittimo domandarsi se questi disastrosi risultati siano stati prodotti da lei e dalle sue idee o dai suoi interpreti un po’ fessi.
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