Mariana Mazzucato (“La strada storta dello stato”, Repubblica 1° settembre) avanza la proposta che la Cassa depositi e prestiti, “attore pubblico autonomo dal potere politico ministeriale” e con “decennale esperienza nel settore infrastrutturale”, acquisisca “sul mercato la maggioranza del capitale azionario di Atlantia”, allo scopo di “migliorare il rapporto con le concessionarie”. A parte la sospensione del principio di non contraddizione inerente a “un attore pubblico autonomo dal potere pubblico”; a parte il contenuto della “decennale esperienza” che si può fare da socio di minoranza in Terna, Snam spa, Eni, Enel; a rendere perplessi è quel “migliorare il rapporto con le concessionarie”. Che il controllore si faccia controllato può far comodo al controllato; ma che il controllore debba spendere soldi per riuscire a fare il suo mestiere è clamoroso, e ancor più che a dirlo sia la paladina dello “stato imprenditore”. E non è finita: se “l’attore pubblico autonomo” vuol comperare sul mercato il 50 per cento del capitale, fa salire il valore del titolo: a meno che non vengano annunciati propositi espropriatori atti a farlo calare. In tal caso l’autonomia dell’“attore” riuscirebbe a evitare “al potere politico ministeriale” l’accusa di aggiotaggio? La strada storta dello Stato: non c’è che dire, titolo perfetto.
La risposta del Direttore
I sovranisti sono in stato di confusione.
La strada storta dello stato
di Simone Gasperin e Marianna Mazzucato, Repubblica, 1 settembre 2018
Il disastro di Genova esemplifica la posizione critica in cui si trova oggi l’Italia. Mai come in questo momento il paese può perdersi lungo una “strada storta” o imboccare quella dritta dello sviluppo economico intelligente e sostenibile. Bisogna quindi discutere di un piano strategico per il paese, abbandonando preconcetti ideologici che vedono nel pubblico o nel privato l’origine o la panacea di tutti i mali. Per fare ciò è necessario confrontarsi sui casi concreti, per capire a quali condizioni le relazioni tra pubblico e privato possono diventare simbiotiche o sfociare nel parassitismo.
L’analisi economica ci dice che la rete autostradale rappresenta un tipico monopolio naturale. Il monopolista detiene il potere di imporre prezzi eccessivi, a fronte di un servizio scadente. Storicamente, le soluzioni a questo problema sono state la diretta gestione pubblica, prevalente in Europa, o la regolamentazione del monopolista privato, preferita nel contesto americano. Per quanto riguarda le autostrade, nel passato l’Italia ha adottato principalmente la seconda opzione, con prevalenza di concessionari a controllo pubblico. Fra questi, vi fu la Società Autostrade dell’Iri che negli anni ’50 divenne il braccio operativo del piano di realizzazione di una moderna rete di autostrade nazionali. All’antesignana di Autostrade per l’Italia, gli italiani devono la costruzione dell’Autostrada del Sole, in anticipo di tre mesi sui tempi previsti. La Società Autostrade si avvalse delle migliori tecniche di ingegneria e gestione, acquisite dai tecnici di Autostrade e dell’Iri nel corso di soggiorni di studio negli Stati Uniti. I ponti ed i viadotti, utilizzati per superare linearmente i tratti più ostici del tracciato, diventarono oggetto di un’esposizione del 1964 sull’ingegneria del ventesimo secolo presso il MoMA di New York.
Ancora a fine anni ’80, il Gruppo Autostrade si rese protagonista di un esemplare progetto di innovazione mission- oriented, un partenariato tra pubblico e privato mirato a risolvere un problema concreto. Nel 1990 l’Italia avrebbe ospitato i mondiali di calcio. Il Gruppo Autostrade e l’Iri si impegnarono ad affrontare gli inevitabili ingorghi e code ai caselli previsti per gli spostamenti tra le principali città italiane. Fu così che i tecnici di Autostrade, Olivetti ed altre aziende private, idearono la tecnologia Telepass, il primo sistema al mondo per il pagamento dinamico del pedaggio, in seguito divenuto una tecnologia di frontiera, oggi la più diffusa in Europa. Un esempio di come coltivare tecnologie europee da esportate nel mondo, in contrasto con l’odierno dominio della Silicon Valley.
Le più recenti convenzioni degli anni ’90 con le concessionarie private mostrano invece un diverso rapporto tra autorità pubbliche e gestori del servizio. Il contenuto delle concessioni, e la loro durata, hanno consegnato un enorme potere nelle mani dei nuovi gestori delle autostrade, senza la contropartita di una visione strategica per questa fondamentale infrastruttura economica. Sono lontani i tempi in cui la Società Autostrade del Gruppo Iri era costretta a devolvere allo Stato una parte dei ricavi da pedaggio in eccesso, ricevendo però la garanzia statale per il finanziamento degli investimenti. Questo rapporto tariffe- investimenti appare oggi decisamente negativo, come documentato dalle relazioni annuali del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Le tariffe sono aumentate di circa due volte tanto l’inflazione, ma la manutenzione e i nuovi investimenti rimangono decisamente inadeguati, specialmente se confrontati a simili paesi europei.
Con il passaggio alle concessioni ai gruppi privati, si è creato un sistema simile a quello delle ferrovie britanniche, la cui rete è gestita dalla società pubblica Network Rail, mentre il servizio di trasporto è in concessione ad attori privati che operano in distinte tratte regionali come monopolisti locali. Con conseguenze negative per la qualità del servizio e tariffe ormai fuori controllo. Nel caso del Regno Unito, persino la rete ferroviaria fu gestita da un operatore privato dal 1994 al 2002, ma il drammatico incidente di Hatfield del 2000 spinse il governo a nazionalizzarla, ovviando così ai sopraggiunti problemi di sicurezza ed efficienza.
” Nazionalizzare” le autostrade italiane non dovrebbe quindi essere un tabù ideologico. Al contrario, potrebbe rappresentare una grossa opportunità di rilancio industriale, ma solo se ideata in maniera pragmatica all’interno di una visione strategica. Allo stato attuale, l’Anas non avrebbe le competenze e la missione adeguati, tanto meno il ministero. Per migliorare il rapporto esistente con le concessionarie occorre un attore pubblico autonomo dal potere politico ministeriale e competente dal punto di vista industriale. Quel ruolo può essere ricoperto da Cassa depositi e prestiti, con la sua decennale esperienza nel settore infrastrutturale. Cdp potrebbe acquisire sul mercato la maggioranza del capitale azionario di Atlantia, divenendo così il proprietario di Autostrade per l’Italia, senza innescare una costosa revoca della concessione. Si preserverebbero così le competenze tecniche e manageriali di Autostrade, da rinvigorire attraverso una nuova missione e relazione con le autorità pubbliche. Perché ciò avvenga, è necessario che la Cassa si trasformi in una organizzazione dinamica e mission- oriented, come quell’Iri che negli anni ’50 e ’60 costruì le infrastrutture autostradali italiane, segnando il percorso di una ” strada dritta” per lo sviluppo economico.
Per ritrovare quella strada perduta, occorre superare i vecchi pregiudizi ideologici sull’inefficienza del pubblico rispetto al privato. Ma solo riportando competenze e visione strategica all’interno del pubblico, abbandonando la logica fallimentare dei tagli e delle esternalizzazioni, si potranno instaurare nuovi rapporti costruttivi tra pubblico e privato, nell’interesse generale del paese.
settembre 4, 2018