La sinistra senza idee si aggrappa a Noemi

giugno 27, 2009


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Non c’é giornalista di vaglia che non sogni di ripetere quello che fecero Bob Woodward e Carl Bernstein nel caso Watergate, obbligando Richard Nixon a dimettersi. E’ quindi plausibile che veramente a Repubblica per un certo periodo si sia mirato all’obbiettivo grosso, incalzare Berlusconi finché dalle sue imbarazzate e contraddittorie risposte spuntasse il fatto clamoroso che lo obbligasse alle dimissioni.

Questo non é avvenuto: probabilmente perché non c’era materia, ma soprattutto perché mancava un progetto politico che desse supporto e obbiettivo all’attacco. Qualcuno aveva intravisto l’eventualità di un 25 Luglio: ma persino per un 25 Luglio ci vuole uno straccio di progetto politico.

E così dell’attacco a Berlusconi sono rimasti sostanzialmente argomenti moralistici. Non proprio una novità: l’assenza di un progetto politico é il dato costante del modo con cui la sinistra l’ha attaccato da quindici anni a questa parte. Nel 1994 era l’accusa al partito di plastica, e all’uomo che entra in politica per salvare le sue televisioni. Poi é stato il tentativo di impedirne la nomina, o di dichiararla illegale in quanto titolare di una licenza governativa, come se una vecchia disposizione amministrativa potesse essere invocata contro la volontà popolare espressa sulle schede. Poi sono state tutte le volte in cui si é sperato che fossero i giudici e i PM a rimuovere il fastidio; qualcuno, sottovoce, aveva parlato anche di una possibile soluzione oncologica. E anche la volta in cui la sinistra un progetto politico valido ce l’aveva – col primo Governo Prodi e con la Bicamerale di D’Alema – l’estremismo di centro in un caso, quello di sinistra nell’altro, ci si sono accaniti contro fino a farlo fallire; ancora oggi, ogni volta che si viene sul tema, c’è qualcuno che accusa i vertici della sinistra di non avere tagliato la testa al toro “risolvendo” la questione del conflitto di interessi. Poi i girotondi, dove si gridava al “regime”, la differenza essendo solo tra chi lo dichiarava in atto e chi ne prevedeva l’inevitabile avvento. Visto in questa prospettiva, questo attacco fondato su argomenti moralistici appare una variante della strategia volta a contrastare l’avversario con argomenti non propriamente politici.

L’attacco, questa volta, ha avuto conseguenze di rilievo, il colpo assestato all’avversario é stato pesante. La differenza tra il Berlusconi che si aggira tra i sinistrati dell’Aquila e quello che diserta l’assemblea della Confcommercio, é visibile nel senso letterale della parola. Lui stesso ha rinunciato apertis verbis al Quirinale, così aprendo la lotta fra i delfini e forse accelerandone gli sviluppi. Tutto questo avviene proprio nel momento in cui a sinistra la mancanza di progetto politico é più clamorosamente evidente. Non solo nel senso banale, e cioè che Berlusconi ha i voti, dato che il consenso di cui gode, ancorché diminuito, é ancora largamene maggioritario nel Paese. Se perfino Eugenio Scalfari, quando immagina un eventuale Governo postberlusconiano, pensa a Gianfranco Fini come presidente, vuol dire che allo stato attuale non esiste all’opposizione nessun progetto politico che neppure lontanamente possa presentarsi come alternativa. Anche tra i suoi avversari, sono molti a riconoscere che finora Berlusconi riesce ad assicurare la coesione nazionale, un fatto non ovvio nella precaria situazione economica in cui ci troviamo, prezioso per tutti, maggioranza e opposizione, da trattare dunque con una certa accortezza.

Questa é la nemesi della sinistra: per anni ha praticato una strategia di opposizione a Berlusconi, e prima di lui a Craxi, accusandoli di essere l’antipolitica. Non si é accorta che erano invece piuttosto loro a capire le richieste, i bisogni, le aspirazioni del Paese: e oggi finisce col ritrovarsi senza una visione politica con cui innervare la propria proposta e su cui compattare i propri simpatizzanti. Con un doppio paradossale risultato: che la sinistra ottiene il massimo di destabilizzazione dell’avversario quando la sua propria forza politica é al minimo; e che raggiunge questo risultato ricorrendo ad argomenti moralistici quando é sul piano politico che Berlusconi appare più attaccabile che mai. Il solito, monotono elenco delle riforme non fatte, – si paga troppo per avere troppo poco, si lavora troppo poco per uscire dalla crisi, non si forma capitale umano, non si ha giustizia – dimostra che non gli basta neppure disporre di una maggioranza smisurata.

Da noi, chi vuole le riforme non ha il consenso e viceversa: questa é l’amara constatazione. Se questo accade, deve esserci una qualche causa, profondamente radicata nella nostra società. Non mancano le spiegazioni, proposte da economisti e sociologi. Quello che manca é una politica che voglia impegnarsi a captare, capire, rimuovere questo male, che é quello su cui il nostro Paese declina. Questa sì che sarebbe una proposta politica per battere l’immobilismo berlusconiano, quello per cui usciremo dalla crisi non prima e meglio, come ci raccontano, ma più tardi e peggio degli altri.

E’ giusta l’obbiezione che questo difficilmente é un programma per battere oggi Berlusconi, o domani la destra che prevedibilmente gli seguirà. Questo infatti é un lavoro di lungo termine, un campo immenso in cui avventurarsi. Ma visti i risultati che si sono avuti finora, perché non provarci?

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