da Peccati Capitali
Chi, decidendo di investire danaro in un’azienda, accetterebbe di avere per socio il vecchio proprietario che l’aveva portata al dissesto? Perché un Governo che, dopo averle provate tutte, si decide a passare la mano, dovrebbe mantenere una partecipazione in un’azienda che, sotto la sua gestione, ha chiuso non in perdita solo uno degli ultimi dieci bilanci?
L’azienda è l’Alitalia, in cui il Governo Prodi deciso di portare la sua partecipazione “sotto il 30%”, cioè al 20-25% secondo l’interpretazione prevalente. Tra le condizioni poste all’azionista spiccano la garanzia dell’occupazione e la difesa della “nazionalità”; e il segretario della CGIL ha aggiunto il vincolo che nessuno guadagni su Alitalia. Il Governo ha cioè chiesto di blindare proprio le cause che hanno prodotto l’effetto che Epifani vuole perpetuare: perdere.
Il traffico aereo ha vissuto cambiamenti strutturali giganteschi: tecnologici (negli aerei, nei sistemi di prenotazione, nella gestione del traffico aereo); di modello di business (i low cost); di regolamenti (la caduta delle barriere in Europa e a breve con l’USA). Per vincere ci andavano visioni imprenditoriali, e libertà di implementarle. Da noi invece hanno imperversato egoismi sindacali, presunzioni dirigiste, interessi locali: vedasi il pronunciamento dei sindaci Moratti e Veltroni perché non si tocchi nessuno dei “loro” due hub.
Può darsi che il Governo mantenga una partecipazione in Alitalia solo per superare le resistenze: ma siccome il messaggio che così manda è a 180 gradi da ciò che si deve fare per risanare, mette in circolo nel sistema una dose massiccia di ambiguità. Ambiguità chiama ambiguità: si profila la “soluzione” di una fusione tra Alitalia e Air One sorretta dai soldi di una grande banca, mentre l’Antitrust lascia intendere che in questo caso si potrebbe derogare alle norme antimonopolio: come aveva ipotizzato il Presidente Catricalà nella sua prima relazione al Parlamento. Così gli italiani, dopo aver ripianato Alitalia con le loro tasse, ne assicurerebbero la sopravvivenza con il rincaro dei biglietti.
L’annuncio della “privatizzazione al 30%” di Prodi è arrivato esattamente un anno dopo la “privatizzazione al 49%” di Berlusconi, e proprio nel giorno in cui il cavaliere arringava la folla contro il professore. Emblematica dimostrazione della desolante incapacità, governo dopo governo, aldilà delle contrapposizioni ideologiche, di sciogliere i nodi che soffocano questo Paese. Anche l’ambiguità è un peccato capitale.
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dicembre 7, 2006