Viene il giorno che le patate bollenti s’ha da pelarle. E bollente certamente è quella che il Ministro Gentiloni ha deciso di prendere in mano: da 12 anni era sulla brace, insieme alla gemella del conflitto di interessi. Non c’è solo il popolo di sinistra a premere per ridimensionare il potere di Berlusconi di fare soldi e allo stesso tempo di influenzare le opinioni politiche degli italiani; c’è anche la grande stampa nazionale ad accusare le TV, e in primis quelle che vivono solo di pubblicità, di drenare risorse alla carta stampata.
Ci vorrà un po’ più di tempo per studiare il ddl di Paolo Gentiloni e per vedere se gli è riuscito di fare un provvedimento che apra il settore, ne aumenti le possibilità di crescere, ne faccia occasione di business per nuovi imprenditori.
Prescrivendo che Rete4 e RAI3 vadano su “altra piattaforma trasmissiva” entro il 30 settembre 2009, Paolo Gentiloni riprende la proposta di “disarmo bilanciato” che era già stata avanzata all’epoca in cui al suo posto al Ministero c’era Antonio Maccanico, e che era stata fatta cadere per l’opposizione del partito RAI. Non precisa quale sia la “altra piattaforma”: si dovrebbe pensare che ciascuno sarà libero di scegliere, o al limite che la piattaforma sarà la stessa per entrambe. Deve intendersi che non vale più per lo switch over, il momento in cui si spengono le trasmissioni in analogico, il termine di fine 2008 fissato dal Ministro Landolfi. Se fosse il 2012, il “sacrificio” imposto di tre anni imposto ai due principali broadcaster appare ragionevole. Ci sono le ingiunzioni sempre più perentorie della Corte a fissare un termine “finale, assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile” per la fine del regime transitorio. La situazione è nel frattempo assai cambiata: sono stati costruiti 10 multiplex per il digitale, da parte di 6 gruppi editoriali diversi. “Il giorno in cui avremo 160 canali, una posizione di dominio come quella di Berlusconi sarà molto ridimensionata”: era il 1994, ne conversavano Norberto Bobbio, Giancalro Borsetto e Gianni Vattimo. Contando il satellite non siamo tanto distanti.
Più che il “sacrificio” di RAI e Mediaset, c’è da chiedersi qual sia il sacrifico del Paese. Noi siamo partiti prima, abbiamo destinato risorse pubbliche per accelerare, potevamo anticipare. Il digitale non è un trucco inventato per favorire Berlusconi, è l’innovazione indispensabile per non essere tagliati fuori dal mercato mondiale, per evitare che la TV finisca in un vicolo cieco insieme alle valvole termoioniche, i dischi in vinile, le foto su pellicola. Levare una rete ciascuna alle due aziende a cui –giustamente – è stato chiesto di sopportare il maggior costo per il passaggio alla nuova tecnologia, non è un incentivo a investire. Il ddl non dice la nuova data per lo switch over: anche l’incertezza riduce l’incentivo a investire, a portare sul digitale i programmi che determinano la scelta. Ecco un tema su cui Gentiloni potrebbe intervenire, senza soverchie difficoltà politiche.
I dubbi incominciano a proposito della sorte delle frequenze attualmente impiegate da RAI3 e Rete4 per le trasmissioni in analogico. La legge Gasparri era reticente sull’argomento, prevedendo solo che le frequenze non utilizzate dovessero essere rese disponibili. Le frequenze “nuove”, quelle per il digitale, sono state acquistate in tempi recenti da RAI e Mediaset sul mercato secondario delle frequenze, mercato reso possibile dalla legge del Governo Amato 66/2001 Le cose si fanno più complicate per le “vecchie” che grazie a quegli investimenti si liberano: quanto valgono? Ad esempio le frequenze di Rete4 sono pervenute a Mediaset con l’acquisto della rete da Mondatori; il loro valore storico è cresciuto in conseguenza degli investimenti fatti negli anni successivi. Il valore attuale si conoscerà al momento della vendita, che dovrà essere fatta con un’asta, come per l’UMTS. Sarebbe bene che l’uso delle frequenze non fosse vincolato ad un determinato uso e si lasciasse al mercato individuare il modo più efficiente di impiegarle: così è stato fatto in alcuni casi in USA e i risultati sono stati sorprendenti. L’asta dovrà garantire assoluta imparzialità, meglio quindi se si effettuerà sotto la supervisione di un’Autorità indipendente. La cosa più semplice dunque è che RAI e Mediaset consegnino ad essa le loro frequenze perchè provveda a metterle all’asta per conto loro, regolando successivamente eventuali pretese che lo Stato potrebbe avanzare. Bisogna che sia chiaro come il sole che non esiste nessun progetto di destinare frequenze allo creazione di un “terzo polo” televisivo da parte di soggetti ritenuti sicuri. Il Ministro Gentiloni renderà un segnalato servizio al Governo se allontanerà da esso ogni occasione di sospetto.
Nei mercati si puniscono gli abusi di posizioni dominanti, i comportamenti lesivi della concorrenza. Invece i limiti quantitativi sono un’intrusione della politica nei mercati, discendono dalla pretesa della politica di sapere la struttura ideale dei mercati. E’ stato per anni l’errore di Banca d’Italia, ci è costato caro liberare il settore delle banche da questa presunzione. Non è questione di entità numerica del tetto ai ricavi pubblicitari: sono i tetti ad essere un errore, nascono dalla medesima presunzione. La politica che ponga limiti alla crescita del fatturato, e quindi stante il limite di affollamento, implicitamente influisca sulla struttura dei prezzi, è cosa che non si fa in un’economia di mercato. Sono convinto che il Ministro Gentiloni lo sa benissimo.
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ottobre 13, 2006