Il PD e la CGIL
Contrattazione di secondo livello, riforma del mercato del lavoro, rappresentanza sindacale: una fitta agenda dei temi, sindacali per contenuto, politici per le conseguenze. Non sono solo interessi economici di imprenditori e lavoratori ad essere in gioco: la partita in corso, comunque vada a finire, avrà effetti per il centrosinistra, per il maggiore sindacato italiano e per i rapporti tra loro; e, indirettamente, per tutto il quadro politico.
Non è la prima volta che si presentano simili circostanze. Undici anni fa, al congresso del PDS di Roma del febbraio 1997, “il dottor Cofferati” aveva ruvidamente bocciato le aperture di D’Alema sulle pensioni; e oggi Guglielmo Epifani, sui contenuti e nelle strategie negoziali, prende posizioni di analoga rigidità. Nella CGIL sembra non sia cambiato nulla: mentre radicalmente diversa è la struttura del centrosinistra, in conseguenza della decisione di Walter Veltroni di portare il PD da solo alle elezioni. Allora il governo dell’Ulivo si reggeva sull’alleanza con le sinistre; oggi la sinistra di Rifondazione e oltre non è rappresentata in Parlamento, e non fa parte dell’opposizione. Invece sul lato sindacale la FIOM di Giorgio Cremaschi continua a far parte della CGIL: la mossa di Veltroni ha prodotto il fatto nuovo, una asimmetria tra sinistra e sindacato mai sperimentata prima d’ora.
Asimmetria che, volendo personalizzare, può essere ricondotta a due personaggi eletti nelle liste del PD, Pietro Ichino e Achille Passoni. Entrambi con la CGIL nella loro storia personale, rappresentano le due polarità in materia di normative sul lavoro. Passoni aderisce a quella conservatrice tradizionale della CGIL Ichino vuole che sia abbattuta la “apartheid” del mercato del lavoro, e per questo chiede che si adotti un contratto di lavoro unico, modulabile, a tempo indeterminato, con protezione della stabilità crescente con l’anzianità di servizio; rifuggendo dalla tentazione degli schemi “bertinottiani” di alzare il costo per le fasce deboli, che le escluderebbero ancor di più. Questa rappresentazione schematica nasconde la realtà ricca di dialettiche vivaci, con posizioni più fluide, come quella di Paolo Nerozzi.
Ufficialmente la linea del PD è per “la miglior flexsecurity europea”: che nei fatti si identifica con il superamento del dualismo nel mercato del lavoro. Se alla accettazione di principio facesse seguito un’articolazione precisa e l’impegno in una battaglia politica per farlo passare, la cosa avrebbe conseguenze rivoluzionarie, che andrebbero oltre il fatto specifico, e toccherebbero i rapporti politici, nel PD e nella CGIL.
Undici anni fa fu il sindacato a imporsi al partito: così si posero le basi del “senza se e senza ma”, e alla sinistra toccò di imparare a proprie spese che “ non basta dire no”. Oggi le parti sono rovesciate: è dal partito che potrebbero partire le iniziative capaci di sbloccare il più grande sindacato italiano. Un’iniziativa risoluta del PD sulla riforma del contratto del lavoro sarebbe per la CGIL un’occasione analoga a quella che è stata la legge elettorale per il PD: quella per decidere di andare da sola, sfidando la FIOM. A cui resterebbe solo l’alternativa di mettersi con i COBAS: ma sarebbe rinnegare storia e cultura del più emblematico dei sindacati, quello dei metalmeccanici. La CGIL conquisterebbe libertà di movimento, andando oltre la attuale concentrazione prevalente su pensionati e statali.
Anche il PD deve andare oltre la sua attuale base, e conquistare l’elettorato di centro. Il cattivo risultato elettorale alimenta invece la tentazione di un riavvicinamento alla sinistra per spostare gli equilibri interni nel partito. L’atmosfera viene descritta come pesante: l’attivismo di Italiani Europei, la Fondazione di Massimo D’Alema, desta malumori e riaccende antichi sospetti. Sulla questione della collocazione nel Parlamento Europeo, Rutelli si rivolge agli ex margheritici come se quel partito esistesse ancora; e sulle politiche del lavoro Tiziano Treu propende a tattiche temporeggiatrici, in pratica vorrebbe rinviare tutto alla prossima legislatura. Ma è solo andando avanti, facendo più opposizione, e da posizioni riformiste, che il PD può superare il suo limite, la mancata avanzata al centro. I temi “sindacali”, in particolare la riforma del mercato del lavoro, le permetterebbero di farlo spiazzando la destra: anche il Ministro Sacconi sembra subire il tabù dell’art.18, ed è quindi costretto a cercare la flessibilità agendo sul campo del precario.
Ancora una volta, la partita si gioca sulla pelle delle categorie meno protette. Undici anni fa per la riforma di un sistema pensionistico che “dà i padri e leva ai figli”. Oggi per l’eliminazione delle sperequazione che confina la maggior parte dei lavoratori in questa sorta di apartheid dei diritti. Ma la posta della partita va oltre la riforma del lavoro e le materie sindacali. Tocca i rapporti politici, dunque la possibilità di portare a termine altre delle riforme che attendono.
Tweet
giugno 17, 2008