L’ uninominale maggioritario sta morendo. Sono appena passati due anni, e due tornate di voto. Al sistema elettorale si chiedevano due risultati. Primo, garantire coalizioni coese: e ancora non ci siamo. Secondo, una migliore selezione del personale politico, un rapporto più responsabile e diretto con l’elettorato: e sotto questo profilo andiamo ancora peggio.
Sia sul primo che sul secondo terreno, hanno giocato contro le segreterie dei partiti, quanto di esse è rimasto o ha cercato di risorgere: certe scelte sono risultate poco comprensibili, le desistenze sono una contraddizione tra le preferenze della maggioranza degli elettori di una data area politica e le esigenze di dare spazio a tutte le articolazioni di una coalizione. Le primarie, tante volte invocate, nascono da tradizioni politiche diverse dalle nostre e sono quindi di difficile se non impossibile applicazione nel nostro Paese, come ha dimostrato Pasquino in un lucidissimo saggio sul Mulino. Male istituzioni, e il sistema elettorale ne è una tra le fondamentali, vivono innanzitutto come passione sentita e interpretata dai cittadini. Da questo punto di vista, l’esperienza di questa campagna elettorale mostra che essi in generale non sembrano voler usare le possibilità che il metodo offre per raggiungere i vantaggi che si sperava di trarne.
Di fatto, la competizione elettorale si gioca solo sugli schermi televisivi. si esaurisce nei dibattiti tra i leader nazionali dei partiti. Dal punto di vista sistemico è bene che il confronto sia innanzitutto tra i candidati a governare. Ma perché l’innovazione non sia una recita che può stancare, occorrerà evitare che il Paese passi, anche per questa via, a un sistema presidenziale spurio, perché non inserito in un sistema ordinamentale a ciò predisposto. A pena della morte del maggioritario.
Fatto sta che il confronto tra leader in Tv è ingessato dalla «par condicio», della quale si è già detto — giustamente — tutto il male possibile. Ma peggio della «par condicio» è la sua arbitraria estensione a campi che non le sono propri, quelli cioè che non impiegano beni pubblici quali le frequenze dello spettro elettromagnetico. Se la «par condicio» viene applicata anche sui giornali nazionali e fin nei salotti privati, vuoi dire che essa finisce col tradursi in un desiderio di presa di distanza, in una sostanziale indifferenza o diffidenza verso la politica.
Tutto ciò investe infatti in maniera assolutamente negativa il secondo obbiettivo al quale doveva rispondere la legge elettorale: quello di elevare la qualità dei rappresentanti nei collegi uninominali. L’estensione impropria a ogni livello e in ogni ambito della nevrosi «parcondicionista»,, rende infatti impossibile una valutazione efficace dei candidati, stempera differenze di competenze, esperienze e capacità in un grigiore al quale nessuno presta attenzione. È qui che si celebra la morte dell’uninominale.
La politica ha certamente le sue colpe: le alleanze forzate tra diversi o quelle dilatate al limite della perdita di identità; la rissosità; la distanza dalla realtà del Paese, di cui sembra ci si accorga solo — è il caso del fisco — in occasione della campagna elettorale. Ma nessuna legge, nessuna istituzione vive fuori dalla società, né a essa può essere imposta.
Equi la colpa non può essere solo addebitata alla politica, ma anche alle istituzioni intermedie della società civile, dalle associazioni culturali a quelle di categoria. Sono esse che, come già rilevava Tocqueville, fanno vivere una democrazia Invece, Rotary, Lions, associazioni professionali, circoli ricreativi aziendali, sono perlopiù chiusi ai dibattiti, rifiutano di ospitare confronti.
Si arriva al caso abbastanza clamoroso dell’Unione industriali di Torino che rifiuta il confronto tra due candidati che sembrerebbero fatti apposta per raccoglierne le esigenze. Il sottoscritto, un parlamentare che, come i lettori del Sole ben sanno, si è battuto con foga per le libertà dei mercati e di impresa; e Jas Gavronski, che viene considerato assai vicino al mondo della grande industria torinese. Con il risultato paradossale che l’unica categoria che risulterà avere voluto confrontarsi con i politici sui temi di proprio interesse risulterà alla fine essere stata quella dei commercianti, con il famoso scontro al cinema Lux.
Ignoro se l’Unione industriali di Torino in questo suo atteggiamento faccia propria .un’indicazione nazionale. della Confederazione cui appartiene. Se così fosse, giudico tale indirizzo infecondo. Tener chiuse le porte ai candidati sotto il pretesto che altrimenti bisognerebbe aprirle a tutti significa solo chiuderle a chi all’impresa crede. Non si chiede una rinuncia all’imparzialità, bensì di non rinunciare al buon senso.
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aprile 14, 1996