Intercettazioni e cittadini
di Paola Severino
L’ampio ed acceso dibattito sviluppatosi nelle ultime settimane sul tema delle intercettazioni dimostra che l’esigenza di una riforma era ed è avvertita da ampi strati dell’opinione pubblica, dai vertici delle istituzioni e perfino dai contrapposti schieramenti politici, come seria e fondata. Il tema, però, non sarebbe compiutamente sviluppato se, una volta costruite le regole e le sanzioni, esse rimanessero un vuoto simulacro e fossero destinate ad una totale o parziale disapplicazione. Il rispetto delle regole e l’adozione delle sanzioni rappresentano l’altro focus del problema, su cui tutti i cittadini, ciascuno nel proprio ruolo, sono tenuti a vigilare, senza concedere
sconti o esoneri a nessuno. Quando infatti entra in discussione un problema di libertà individuali fondamentale come questo, che può incidere
anche su persone non indagate, va stimolata una forte consapevolezza sociale, da tutti condivisa.
D’altra parte essa si fonda sulla semplice constatazione che potrebbe capitare a chiunque di trovare la propria
vita privata esposta al pubblico.
Da questa condivisione deve poi nascere, affinché non ci si riduca ad una sterile enunciazione di principio, l’espressione di un forte dissenso sociale e deontologico, prima ancora che giudiziario.
Così, non può considerarsi lecitoo giustificabile l’atteggiamento di chi va alla ricerca più di “pettegolezzi” tratti da intercettazioni prive di rilevanza giudiziaria che di notizie dotate dei requisiti dell’interesse pubblico
alla emersione di fatti illeciti.
Sono in tanti, tra chi fa informazione, ad essere scrupolosi ed attenti a questa fondamentale esigenza di distinguere, ma esiste anche una minoranza di essi, disposti a tutto pur di acquisire un presunto “scoop”.
È chiaro che il problema della pubblicazione indebita di intercettazioni si risolverà solo quando la grande maggioranza di chi fa informazione in modo corretto dimostrerà la propria dissociazione da quello sparuto manipolo che danneggia l’immagine dell’intero mondo dell’informazione.
Solo questa forma di sanzione sociale rappresenterà il vero humus per far efficacemente partire ed approdare i doverosi procedimenti e le connesse sanzioni disciplinari e penali.
A maggior ragione, non può considerarsi giustificabile o tacitamente consentito il ben più grave comportamento di chi fornisce quelle notizie coperte dal segreto investigativo.
È dato di comune esperienza che spesso vengano additati come fonte di rivelazione gli avvocati. Affinché questo
dato non sia distorto o, peggio, usato come diversivo, occorre però fare dei distinguo.
Sono noti i casi in cui la diffusione della notizia non poteva provenire dai difensori, per il semplice fatto che si
trattava di atti e documenti ancora non depositati e quindi ignoti anche al difensore.
È altresì noto che per molti avvocati il segreto professionale rappresenta un vincolo “sacro” e così forte che a volte
non si conosce neppure il nome dei loro assistiti, ancorché si tratti di personaggi famosi.
Esistono, però, alcuni avvocati per i quali la tentazione della pubblicità sul proprio nome travalica ogni dovere professionale, sfociando nella continua ricerca di occasioni di contatto con la visibilità esterna, anche a costo di svelare notizie coperte da segreto istruttorio.
Anche in questo caso il problema si risolverà alla radice solo quando la maggioranza degli avvocati rispettosi delle regole dimostrerà la propria dissociazione da quella ridotta minoranza, la cui scorrettezza si riverbera negativamente ed ingiustamente nell’intera categoria.
Solo a queste condizioni i procedimenti disciplinari e penali potranno essere efficacemente istruiti e le conseguenti
sanzioni effettivamente applicate.
È infine dato anch’esso di comune esperienza che una certa parte delle rivelazioni provengono dagli stessi pubblici
ufficiali che hanno acquisito quelle notizie e che di esse dovrebbero essere i più gelosi custodi, vigilando pure sui soggetti che collaborano alle operazioni di intercettazione.
Anche con riferimento a questo aspetto del problema occorre molta chiarezza ed obiettività.
La grande maggioranza dei magistrati considera il segreto delle indagini veramente inviolabile e quindi struttura i propri uffici, anche con una costante vigilanza sui collaboratori, in modo tale da renderli effettivamente blindati rispetto al pericolo di una fuga di notizia. Non si può negare, però, che esiste un ristretto numero di magistrati che abituandosi a considerare “normale” una continuità di rapporti con la stampa, tende poi ad allentare la rete di controlli sui propri uffici e da considerare quasi“inevitabile” la fuga di notizie segrete.
Anche in questo caso, il problema verrà risolto alla radice solo quando la maggioranza silenziosa (che è anche,spesso, quella più operosa) dimostrerà, con i fatti e non con le parole, la dissociazione da quella minoranza così poco attenta al rispetto delle regole,che rischia di minare la fiducia del cittadino nel sistema giudiziario.
Quali sono i fatti che ci si attende? La risposta è semplice e proviene da una fonte autorevole e certamente non
sospettabile di scarso rispetto per la magistratura.
Ha scritto ieri l’on. Violante che «il vero scandalo delle intercettazioni è nella impunità per la violazione del segreto», puntando il dito sullo scarso impulso che viene dato dalle Procure alle indagini sui casi di fughe di notizie da fonti ufficiali.
Occorre dismettere, aggiungo, l’atteggiamento di passiva rassegnazione alla asserita impossibilità di trovare un colpevole, che può apparire anche se non è una forma di copertura. Occorre rispettare nella sostanza la Regola dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, anche quando l’applicazione di essa crea disagio. Se questo disagio può essere superato affidando ad altra sede giudiziaria, come pure suggerisce l’on. Violante, la competenza per l’accertamento del reato di violazione del segreto istruttorio, ben venga anche questa riforma.
Il problema principale è e rimane, del resto, quello del rispetto delle regole, che coinvolge tutte le categorie professionali ed anche tutti i comuni cittadini, poiché la tutela di una sfera di libertà inviolabile riguarda tutti noi e deve essere presidiata da tutti noi.
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