“Un importante precedente” è stata, secondo Mario Monti, la multa di 497 milioni di euro comminata nel 2005 dall’allora Commissario europeo alla concorrenza, a Microsoft: l’accusa era di installare dentro Windows il software Media player, così restringendo lo spazio di mercato ai concorrenti di prodotti per scaricare brani musicali.
Il precedente potrebbe essere eclissato dai 7 miliardi di euro che l’attuale commissario alla concorrenza Margarethe Vestager minaccia di infliggere a Google. In entrambi casi l’accusa è di usare la posizione dominante nel mercato dei sistemi operativi, per limitare la concorrenza in quello dei software applicativi. Nel caso Microsoft, si trattava del sistema operativo Windows e del software Media Player; in quello Google, del sistema operativo Android e delle app di Google Play Store.
Somiglianze formali in un mondo cambiato tanto da essere irriconoscibile: dieci anni dopo la multa a Windows il numero di smartphone è 500 volte quello dei personal computer. Di questi, nove su dieci funzionano con Windows nelle sue varie versioni, mentre solo il 58% degli smartphone montano Android (Samsung da sola fa il 22,7%) , il resto è diviso tra Windows mobile e iOS di Apple. La dominanza di Google nei motori di ricerca (quasi il 90% di quota di mercato in Europa) è sui PC, ma non sui device mobili, su cui i consumatori tendono a spostarsi. Ovviamente la strategia di Google è di replicare negli smartphone il modello di vendita di pubblicità che tanto successo ha avuto sui PC: perché l’economia del mobile vale 250 miliardi di euro.
Android è un sistema operativo gratuito: Google lo offre a ogni produttore. È aperto: a differenza di iOS, chi lo adotta può modificarlo a sua convenienza. Non è esclusivo: il costruttore può preinstallare sul device anche altri sistemi operativi, ad esempio Windows mobile o Facebook e le relative operazioni. Google pone una sola condizione: chi installa una sola app di Google deve installare anche Google Play Store, il “negozio” che dà accesso ai quasi due milioni di sue app. In Google Play c’è anche Google Search o Gmail, che sono in posizione dominante: il traino che esse fanno sulle altre app costituisce, secondo la Vestager, un abuso.
Pretendere che Android sia dato senza condizioni equivale a considerarlo una essential facility, una struttura di base che deve essere aperta agli altri operatori, come la rete Telecom o i binari delle Ferrovie. Con la non piccola differenza che i servizi di Google sono gratuiti. In questo modo Vestager sta facendo lo stesso errore di quelli che accusavano Mediaset di posizione dominante nella pubblicità, non considerare cioè che si tratta di mercati a più versanti: per giudicare la dominanza si deve considerare quello che su succede su tutti i versanti. Questi sono due per la televisione commerciale, inserzionisti e utenti. Per i sistemi operativi se ne aggiungono altri due, proprietari di contenuti e sviluppatori di app. Creare un ecosistema per indurre gli utenti a restarvi, è essenziale per incrementare efficienza e innovazione, per assorbire i costi dei servizi forniti gratuitamente, per pagare gli investimenti e studiarne di nuovi.
A differenza dell’antitrust americano che si propone di tutelare la libertà di scelta del cittadino come consumatore, l’antitrust europeo si propone di proteggere i concorrenti. Ma la concorrenza è un mezzo, il fine è il consumatore. Ed è il consumatore con le sue scelte, non il commissario con le sue multe, a determinare chi deve vincere nella gara concorrenziale. In ogni caso vittorie di tappa, nel mutevole mondo digitale: Yahoo! e Blackberry, pochi anni fa erano campioni nel proprio settore, oggi arrancano in coda. Accanto a Media player si sono affermati numerosi altri player multimediali.
Se si concentra l’attenzione sugli assetti esistenti, si rischia di non vedere le novità che stanno emergendo. Mentre la Vestager si preoccupa della concorrenza tra sviluppatori di app, stanno arrivando i bot: sono loro le nuove app, scrive Nòva del Sole 24Ore il 24 Aprile. I bot (abbreviazione di robot) sono software in grado di capire che cosa stiamo chiedendo e di risponderci in modo sensato; che si tratti di tracciare un pacco spedito, di gestire la lista della spesa, di sintetizzare le pagine del web.
Non riconoscere la struttura multiversa della web economy; proteggere i concorrenti anziché garantire i consumatori; tassare Google, vietare Uber, regolare AirBnb, guardare con sospetto i P2P lender. Indubbiamente ci sono buone ragioni se in Europa non c’è nessuna grande società di internet, nessun motore di ricerca, nessuna delle grandi app.
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aprile 29, 2016