di Guido Baglioni
Il caso dell’Alfa Romeo di Arese si contrappone agli esempi di altre due case automobilistiche, una inglese l’altra americana. La condivisione degli obiettivi di impresa è una formula di successo – La cultura della cooperazione nel nostro Paese è osteggiata anche dai manager.
A che cosa serve il sindacato. Questo è il titolo del volume appena uscito e, fatto insolito per gli studi che riguardano le relazioni industriali e sindacali, produrrà un vivace dibattito. A ciò contribuirà anche il sottotitolo: Le follie di un sistema bloccato e la scommessa contro il declino. Le follie si esprimono emblematicamente nelle modalità del conflitto nel settore dei trasporti; la scommessa è attribuita alle possibilità di innovazione strategica e culturale del sindacalismo confederale.
Gli argomenti affrontati da Ichino, con un linguaggio apprezzabile anche dai non specialisti, sono l’utilizzo prudente e motivato del conflitto, la possibilità effettiva di confronto fra le due prevalenti concezioni sindacali (per semplificare, quella più centralizzata della Cgil e quella più articolata della Cisl), una soluzione legislativa o negoziale per la questione della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro; e, soprattutto, le riforme della contrattazione collettiva.
Su questi argomenti Ichino formula precise proposte operative ma, in questa sede, è forse più utile richiamare i punti essenziali della sua impostazione. Essa si intreccia con la descrizione di tre casi importanti e diversi di reazione dell’azione sindacale di fronte alla crisi del settore auto.
Da una parte, abbiamo il caso dell’Alfa Romeo di Arese, dove la tradizione di relazioni industriali conflittuali ha prodotto risultati disastrosi; dall’altra, abbiamo i casi Nissan-Sunderland (Regno Unito) e Saturn-Springhill (Stati Uniti), dove la visione comune fra impresa e lavoratori per un positivo futuro ha dato risultati molto soddisfacenti (in primis, per le condizioni professionali ed economiche dei dipendenti).
L’Alfa Romeo e le altre due esperienze costituiscono gli estremi opposti di due prototipi di sindacato, che contengono una gamma di possibili casi intermedi.
Un prototipo, con relazioni industriali fortemente o moderatamente conflittuali, si caratterizza per il suo alto «contenutoassicurativo», con il quale il lavoratore consegue il massimo di sicurezza, un’elevata percentuale di retribuzione fissa, restando poco interessato all’andamento dell’impresa.
L’altro prototipo, con relazioni industriali di tipo cooperativo, si caratterizza per un alto «contenuto partecipativo», può comportare minore sicurezza del posto, ma maggiori possibilità di incentivi e di reddito (variabile), nonché di coinvolgimento all’andamento dell’impresa.
Il primo, nelle condizioni attuali, ha una funzione meramente difensiva e, spesso, senza esiti consistenti. Il secondo, con uno sguardo al futuro, si regge sulla scommessa che i lavoratori e la loro rappresentanza liberamente fanno con la controparte.
Ichino, non da oggi, opta decisamente per la scommessa e non può non porsi la domanda del perché in Italia, ben al di là del caso Alfa Romeo, prevalga ancora la vicinanza al primo prototipo. A mantenere questa situazione concorrono numerosi fattori (consuetudini, ideologia, quadro istituzionale); però, nel l’ambito delle relazioni industriali, spicca il peso eccessivo dei contratti nazionali di categoria e il loro condizionamento sugli accordi a livello inferiore. Da qui la necessità di una contrattazione di deroga (presente in altri Paesi europei), che può essere peggiorativa, migliorativa, compensativa.
Queste sono diverse modalità per superare i limiti provati dell’azione difensiva e per sviluppare un’azione sindacale (che io chiamo) adattiva; che si propone di trovare soluzioni equilibrate fra gli interessi dei lavoratori e le esigenze competitive delle imprese; esigenze che non riguardano solo le imprese in crisi.
La breve esposizione del l’impostazione di Ichino non dà conto della ricchezza dei suoi riferimenti e delle sue possibili implicazioni. Questo solido e brillante studioso di diritto del lavoro e di relazioni industriali propone uno schema coerente di regolazione collettiva del rapporto di lavoro per un Paese in declino e, comunque, nel circuito della concorrenza europea e internazionale. È più che legittimo dissentire dalle singole proposte operative, ma non per questo trascurare il disegno entro il quale esse sono collocate. Chi scrive condivide
l’impostazione di Ichino, non senza temi di dissenso. Qui vorrei aggiungere due osservazioni di ordine generale.
Il «contenuto assicurativo», seppur logorato dalla flessibilità e dalla pluralità dei rapporti di lavoro, è presente anche negli accordi e nelle scommesse partecipative, come implicitamente avviene nell’esperienza di Sunderland ed esplicitamente nel l’esperienza Saturn. Nei recenti accordi adattivi in Europa, la principale compensazione avviene fra concessioni salariali o di orario e la sicurezza del posto per alcuni anni. Certo, lo spirito e l’estensione del contenuto assicurativosono ben distanti da quelli dell’impresa fordista e dell’Alfa Romeo; e, tuttavia, non escludono tensioni e conflitti.
Non a caso, coloro che sono scettici sui «contenuti partecipativi» sostengono che è difficile pensare a esperimenti partecipativi efficaci e condivisi senza un’adeguata sicurezza. Tuttavia, la partecipazione alle decisioni strategiche (ad esempio, riproposta nella Direttiva della Società europea) non va avanti solamente perché una parte delle componenti sindacali non ci crede. Sovente gli imprenditori e i manager diffidano della condivisione e gli stessi lavoratori non sembrano molto disposti ad assumere vincoli e corresponsabilità confacenti.
ottobre 23, 2006