di Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 06 marzo 2024 La croce sulla cupola degli Invalides, che nell’immagine delle Olimpiadi diventa una guglia, è l’Europa che recide le proprie radici e ammaina le proprie bandiere? O è l’Europa plurale del nostro futuro? Innanzitutto, quell’immagine è un falso. E quando si ricorre scientemente a un falso, è perché abbiamo un problema. La cupola degli Invalides non è un posto qualsiasi; è uno dei luoghi della civiltà europea. Se il Re Sole avesse voluto erigere una guglia anziché una croce, e se Napoleone avesse voluto essere sepolto — o i suoi posteri avessero voluto seppellirlo — sotto un elemento architettonico anziché sotto un simbolo religioso, l’avrebbero fatto. Poi certo quell’immagine ritoccata non parla solo del Re Sole e di Napoleone — per quanto, insomma, non siano due passanti — ma della Francia di oggi, dove vivono cinque milioni di musulmani, duecentomila ebrei, e soprattutto milioni di francesi che non sentono di appartenere alla civiltà cattolica. E lo stesso, sia pure con numeri diversi, vale per tutti i Paesi dell’Europa occidentale. È un tema abbastanza rimosso, che talora ritorna nella vita pubblica come un rimpianto o come un rimorso. Ci fu un tempo in cui la Francia era chiamata la figlia primogenita della Chiesa, perché Clodoveo era stato tra i primi re barbari a convertirsi e farsi battezzare. Erano francesi i crociati che presero Gerusalemme facendo strage di infedeli. Giovanna d’Arco parlava o credeva di parlare con Gesù, in nome della fede si combatterono guerre civili da migliaia e migliaia di morti, dal massacro degli albigesi — e ancora adesso gli storici discutono se il legato pontificio Arnaud Amaury abbia davvero ordinato «uccidete tutti, Dio riconoscerà i suoi» — alla rivolta controrivoluzionaria della Vandea. Lo Stato laico (e massone) della Terza Repubblica bandì i simboli religiosi dai luoghi pubblici; ma il simbolo del generale De Gaulle era la croce di Lorena, e nel 1981 sui poster del socialista Mitterrand compariva il campanile di una chiesa. Il cattolicesimo francese è sempre stato collocato politicamente a destra, tra i conservatori se non tra i reazionari. Ma nella seconda metà del Novecento questo schema è saltato, grazie a figure carismatiche del cattolicesimo sociale come l’abbé Pierre e intellettuale come Jacques Maritain e Jean Guitton, che Paolo VI chiamava amicalmente Ghittone, italianizzando il suo nome come se fosse un santo o un teologo medievale (ma era francese pure lo scismatico Lefebvre, indignato dalle aperture del Concilio). Il cattolicesimo ha avuto i suoi martiri: i frati che si sono fatti uccidere dai nazisti per salvare i bambini ebrei, come padre Jacques de Jésus, che ispirò il film «Au revoir les enfants» (Arrivederci ragazzi) di Louis Malle; i sette monaci di Tibhirine, sgozzati come agnelli dagli islamisti algerini nel 1996, di cui furono trovate le teste ma non i corpi; padre Jacques Hamel invece fu sgozzato sull’altare della sua chiesa presso Rouen, e lo stesso è accaduto a tre fedeli nella cattedrale di Nizza. Quando Nizza divenne francese, per prima cosa vi fu costruita una cattedrale neogotica, sul modello di Notre-Dame di Parigi. Nel discorso di Capodanno, Macron ha indicato due obiettivi per il 2024: le Olimpiadi e il restauro di Notre-Dame. Ha proprio detto così: «I Giochi sono una volta ogni cent’anni; ma le cattedrali si fondano o si rifondano una volta ogni mille anni». Se però poi abolisci le croci, le cattedrali diventano orgoglio nazionale, non segno spirituale. I rivoluzionari volevano fare di Notre-Dame un tempio alla Dea Ragione; non fu un prete o un Papa, fu uno scrittore romantico, Victor Hugo, a salvarla. Gli imperatori romani perseguitavano i cristiani anche perché non li capivano: la povertà da disgrazia diventava virtù; e la croce, da simbolo della morte dolorosa e pubblica, diventava simbolo di salvezza. Un conto è imporla; un altro è proporla; un altro ancora è cancellarla. Quasi tutti i Paesi musulmani hanno la mezzaluna nella bandiera; e nessuno chiede loro di rimuoverla. Forse la risposta alle nostre domande viene dal testamento spirituale di uno dei sette monaci di Tibhirine, padre Christian de Chergé, che ha lasciato scritto: «Se mi capitasse un giorno, e potrebbe essere oggi, di cadere vittima del terrorismo, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e all’Algeria; e che sapessero associare questa mia morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato». Il cristianesimo non è aut-aut, ma et-et; è nell’aggiungere, non nell’elidere. Umanesimo e cristianesimo sono stati a volte in contrasto, a volte legati. Abbiamo impiegato secoli per conciliare fede e ragione, spiritualità e diritti umani. Non gettiamo via tutto. Ai Giochi di Parigi ci saranno croci, ci saranno mezzelune; ed è importante che ci sia anche la stella di David.
Caro Aldo,
al liceo ho letto «Perché non possiamo non dirci cristiani», e sono cresciuto col «Breviario di estetica»: Benedetto Croce! Abolirlo (la) sarebbe imperdonabile.
L’errore di abolire la croce
marzo 11, 2024