L’unica, definitiva occasione per dare al paese un sistema concorrenziale nel settore più importante per un’economia avanzata: questo è ciò che è in gioco nel passaggio in parlamento, iniziato in questi giorni, del progetto di legge Gambino sulle telecomunicazioni, coordinato con altri cinque progetti ( tra cui uno del sottoscritto, presentato alla Camera dall’on. Masi). Qualche osservazione è opportuna per richiamare la centralità di questo obbiettivo, evitando che lo si perda di vista nella valanga di emendamenti, sotto la pressione di corposi interessi, nell’insidia degli equivoci.
Un equivoco è l’idea periodicamente riaffiorante secondo cui sarebbe sufficiente che la concorrenza fosse solo tra servizi e non anche fra infrastrutture: non ci sarebbe nulla di male, si sostiene, se l’infrastruttura fosse unica e nazionale, basterebbe imporre condizioni non discriminatorie di accesso ai fornitori di servizi. Si ricorre all’analogia delle autostrade: poco importa se il proprietario è unico, basta che non discrimini il traffico in base al tipo di guidatore o alla marca di automobili; alle tariffe provvederà la solita Autorità.
Si tratta di una tesi erronea, fondata su un’analogia tecnicamente inappropriata. La visione idilliaca di una rete come ambiente, neutro e trasparente, infrastruttura pubblica che consente la concorrenza tra i servizi, si scontra con insormontabili difficoltà pratiche.
Per evitare inefficienti discriminazioni, di necessità il gestore della rete non dovrebbe fornire alcun servizio, neppure di telefonia di base; spaccando artificialmente l’unità del business, si porrebbe in testa a soggetti economici diversi le decisioni di investimento, che così verrebbero rallentate; la struttura tariffaria di teorico equilibrio è irraggiungibile (canone e comunicazioni urbane sono sovvenzionati dal traffico interurbano ed internazionale) e inconoscibile (per l’asimmetria informativa rispetto all’impresa dominante): la definizione dei prezzi di interconnessione è l’incubo del regolatore.
È per queste ragioni che Bruxelles, dopo aver richiesto al liberalizzazione dei servizi, impone anche l’apertura del mercato delle capacità trasmissive, la liberalizzazione delle infrastrutture: di commutazione, trasmissione e distribuzione. Ora, la commutazione non costituisce più un servizio protetto; nella trasmissione si possono utilizzare le reti alternative già esistenti (che Gambino impedisce a Telecom di acquistare ma non di utilizzare), e la struttura delle tariffe offre ai concorrenti punti di ingresso nelle direttrici ad alto traffico.
Il vero problema sta nella distribuzione. Qui la concorrenza può essere ottenuta in due modi diversi: o la yardstick coinpetition tra monopoli locali (praticamente la sola forma possibile per l’energia elettrica) o la effettiva concorrenza, quella che consente a ogni utente di scegliere tra più reti di connessione (e tra il gran numero di loro combinazioni).
A differenza della distribuzione di energia elettrica, qui la tecnologia propone nuovi mezzi di collegamento (la digitalizzazione e le reti a banda larga, in fibra ottica o wireless), il mercato si apre a servizi che ne utilizzano le potenzialità (il multimediale e l’ interattività).
A noi si offre una possibilità rara, quella di avere i vantaggi della piena concorrenza senza doverne pagare i costi: di duplicare infrastrutture identiche, o di dover ammodernare reti-cavo basate su vecchie tecnologie (come devono fare i tedeschi), o di procedere al traumatico frazionamento dell’operatore nazionale (come han fatto gli americani). Si tratta di una finestra stretta: il satellite si diffonde rapidamente, servizi interattivi di grande diffusione non saranno disponibili prima di una diecina d’anni, l’operatore pubblico non è stato ancora privatizzato. Si tratta di una finestra angusta: dopo il boom iniziale, i nuovi operatori cavo dovranno già far quadrare i conti contro la concorrenza pervasiva del satellite e contro la massiccia presenza del monopolista. Si tratta di utilizzare questa diecina d’anni per far nascere, almeno nelle grandi città, una rete alternativa. Perché allora non anticipare di un anno la liberalizzazione del servizio voce? L’argomento della reciprocità è specioso: se la concorrenza è un vantaggio anticipando si diventa più, non meno competitivi: questo vale per gli utenti, ma vale anche per Telecom.
Un faro, un obbiettivo deve guidare il legislatore: come realizzare l’interesse pubblico primario della concorrenza nella distribuzione, senza dovere impiegare risorse pubbliche. In concreto: ottenere che i nuovi collegamenti a banda larga con gli utenti siano realizzati da operatori privati evitando che il monopolista usi tutto il suo potere per farlo al posto loro. Il ministro può sostenere con buone ragioni che il suo progetto liberalizza il settore, che chiunque potrà stendere reti-cavo e fornire tutti i servizi di telecomunicazione. Ma l’ obbiettivo è soddisfare Bruxelles o offrire agli utenti la possibilità di scegliere tra più fornitori? Perché questi nascano, bisogna lasciare liberi ai nuovi entranti i nuovi settori, evitando che chi è dominante in quelli tradizionali li monopolizzi. L’asimmetria altro non è che una divisione di campi. Essa non può riguardare i mezzi fisici di trasmissione: non è logico impedire al monopolista di ammodernare la propria rete, con un più largo impiego di mezzi trasmissivi a larga banda. L’ asimmetria va dunque creata nei servizi offerti. Al ministro Gambino si deve far notare che la possibilità di ritrasmettere la televisione, che egli offre ai nuovi entranti, è clamorosamente insufficiente: che vantaggio è poter offrire qualcosa che tutti già hanno gratuitamente via etere?
Si deve dunque adottare temporaneamente (per esempio per 10 anni) una diversa segmentazione nel vasto concetto di multimediale: limitare Telecom alla sola estensione del servizio telefonico, cioè la comunicazione interattiva di suoni, immagini e dati in senso stretto, e riservare ai nuovi operatori i nuovi servizi – video on demand, pay per view, payTv di eventi anche non compresi in un organico palinsesto la televisione sia generalista che tematica, i servizi telefonici già dal 1997: alla sola condizione che realizzino propri collegamenti con l’utente.
Vincoli od oneri andrebbero attentamente valutati: appropriati per un mercato affermato, è inutile o controproducente imporli a chi si chiede di rischiare ingenti capitali propri per consentirci di raggiungere l’interesse generale.Il disegno Gambino non offre adeguate asimmetrie nei servizi a favore dei nuovi entranti, ed esibisce le numerose asimmetrie a favore di Telecom messe in evidenza dal rapporto dell’Antitrust (sull’estensione territoriale, sul regime concessorio anziché di autorizzazione, sui contributi).
A ciò si aggiunge:
- il divieto agli operatori cavo di integrarsi con operatori televisivi, o con produttori di contenuti, mentre Telecom può operare quale intermediario, mantenendo il controllo del cliente, e la sua controllata Stream dichiara proprio in questi giorni, con sorprendente arroganza, di stare accaparrandosi diritti su film ed eventi sportivi;
- l’onere per l’utente di dover cambiare numero telefonico cambiando operatore, da eliminare introducendo la ‘portabilità del numero’.
Per evitare sovrapposizioni tra leggi bisognerà evitare almeno due cose:
- le norme generali che riguardano l’intero settore dei media sono il luogo dove inquadrare i limiti alla concentrazione;
- la legge istitutiva dell’Autorità di regolazione è il luogo dove definire le condizioni dell’interconnessione tra le reti, compito primario dell’Autorità. Bisognerà quindi eliminare i riferimenti sia alla contabilità separata tra i vari servizi forniti da Telecom sia al corrispettivo per il servizio universale. Questo, di incerta determinazione, cavallo di battaglia di tutti i monopolisti, è ‘l’impronta digitale’ del contributo di Telecom alla stesura dell’articolato.
Si diceva all’inizio della visione idealizzata della rete come ambiente, neutro e trasparente, che consente la concorrenza tra i servizi. Nella realtà la rete è l’insieme delle relazioni privilegiate di un agente economico (reti bancarie, di distribuzione commerciale, di servizi multimediali).
Telecom desidera metterci di fronte al fatto compiuto di una rete già realizzata, in cui mantenere per sempre una posizione dominante: a questo fine è pronta a investire diecine di migliaia di miliardi, senza controllo di mercato su redditività e scelte tecnologiche. Lo fa in modo socialmente inaccettabile, l’investimento sarà pagato da tutti con la propria bolletta telefonica, mentre solo pochi ne fruiranno i vantaggi.
Le scelte delle Camere diranno se prevarrà questa strategia o se invece in Italia avremo concorrenza nel settore della distribuzione telefonica.
dicembre 19, 1995