Stasera il Consiglio dei ministri dovrebbe prendere le sue determinazioni sulla vicenda del crollo del ponte Morandi. Se lo faranno, sarà il punto finale di una catena decisionale, fatta di anelli uniti l’uno all’altro, dove ogni anello rappresenta una decisione, una scelta. La catena (per adesso) è fatta da tre anelli, tre passaggi, ciascuno con scelte binarie (bianco o nero), ciascuno con il suo potenziale responsabile (in buona o cattiva fede), ciascuno con il suo giudice competente (a Roma o a Strasburgo).
Il primo anello è la caduta del ponte e le vittime che ha provocato. Quanta parte di colpa va a chi l’aveva in gestione? Sono mancati i controlli, o è stato un fatto non prevedibile? La responsabilità è solo del concessionario o ci sono corresponsabilità degli organi vigilanti? A stabilirlo sarà la sentenza della magistratura alla fine di un procedimento in corso, con dibattimento pubblico e possibilità di ricorso. Due possibilità: o non c‘è colpa, e allora la Società Autostrade (ASPI) dovrà solo risarcire i danni, oppure c’è colpa e allora si passa al secondo anello.
La colpa di ASPI è solo relativa al ponte Morandi, una struttura degli anni ’60 in cemento precompresso, nata emblematicamente audace e di problematica manutenzione, oppure siamo di fronte a una politica aziendale propensa a lesinare sui costi anche a scapito della sicurezza? A stabilirlo è un procedimento amministrativo, anch’esso in contraddittorio e con possibilità di ricorso, dove il concedente raccoglierà tutte le prove, sia interne – cioè degli ordini impartiti – sia esterne – cioè dello stato di manutenzione delle strutture. Si tratta di carenze sporadiche e di una prassi gestionale molto attenta ai costi, oppure di un fatto sistematico frutto di una politica aziendale che mette il conto economico davanti alla sicurezza dell’utente?
In tal caso si passa al terzo anello della catena decisionale: si dovrà rendere il concessionario idoneo imponendo criteri gestionali differenti, assoggettando il suo operato a controlli puntuali da parte del concedente, oppure si dovrà sostituirlo? Oppure si dovrà considerare rotto il rapporto di fiducia, revocare la concessione e metterla a gara?
I tre anelli sono logicamente dipendenti ciascuno a quello precedente: ma non lo sono come successione temporale delle cose da fare.
Per il primo anello non si è aspettata la decisione del giudice e si è deciso di escludere ASPI dalla ricostruzione dell’opera. La Corte Costituzionale ha decretato che questa decisione non era immotivata, si immagina per motivi più di consenso sociale che di adeguatezza tecnica.
Per il secondo anello, dal punto di vista giuridico per la decisione di revocare la concessione è indispensabile attendere il giudizio sul Morandi; me dal punto di vista pratico si può integrarlo con quello che è possibile fare (e dal punto di vista dell’interesse degli utenti è doveroso verificare): quali le situazioni di pericolo, quali le eventuali carenze, quali le modalità dei controlli da parte dell’amministrazione pubblica: tutte cose che vanno fatte comunque, indipendentemente da quello che si deciderà di fare sulla concessione.
Per il terzo anello, dal punto di vista giuridico credo che si debba procedere a una gara pubblica. Il governo ha stabilito che, in caso di revoca della concessione, l’ANAS subentri “provvisoriamente” ad ASPI avvalendosi delle sue risorse operative (personale specializzato, mezzi meccanici, attrezzature). Ricordare che anche ponti dell’ANAS sono crollati può apparire una malignità. Non lo è invece la richiesta che siano nominati esperti indipendenti a controllarne le opere. Se i controlli verso un privato hanno funzionato male, se controllori e controllato sono “colleghi” non c’è da star tranquilli. Motivi di più di mettere la concessione a gara europea.
Come si è mossa la politica lungo questa catena decisionale? Al primo anello il ministro Toninelli ha ”deciso” per la revoca della concessione, e dietro di lui i 5Stelle “mai più le autostrade ai Benetton”. Siccome alla revoca della concessione corrisponde il risarcimento per il lucro cessante fino alla sua scadenza naturale, si apre una voragine tra i 23 mld calcolati da Atlantia e i 7 mld decretati dal governo. Decretato è la parola giusta: che tale sia la somma dovuta è stato stabilito per legge (per la cronaca dal decreto milleproroghe). Chi crede che in Italia viga ancora la rule of law non ha dubbi sulla incostituzionalità di questa procedura. In queste condizioni è ovvio che il valore di ASPI crolla e che fa default sul suo debito, e che fallisce anche qualche bond della controllante Atlantia che ha ASPI come collaterale.
Per il secondo anello, ASPI (o ANAS) avranno da pensare alla gestione ordinaria. Chi si occuperà della ricognizione dell’arte, di individuare il da farsi e controllare il fatto? Non si è neppure arrivati a parlarne, e invece è un passaggio essenziale e per ritornare alla normalità. E per passare al terzo anello.
Giacché, revocata che sia la concessione, mentre su altri binari procedono lo strascico giudiziario per stabilire la somma a cui ASPI ha diritto quale risarcimento, e l’esito del processo per stabilire le sue responsabilità e i danni che dovrà pagare, la concessione, per legge dovrà essere assegnata mediante gara europea, (e l’esclusione di ASPI dal parteciparvi non è ovvia).
La soluzione per cui lo Stato non revocherebbe la concessione, e Atlantia farebbe un aumento di capitale di ASPI rinunciando ai diritti di opzione, in modo che CDP ed F2I possano acquisire la maggioranza assoluta, cozza contro la legge pentastellata: mai più le autostrade ai Benetton, mai sedere vicino a loro al tavolo del Consiglio di Amministrazione. Bisogna dunque aumentare le distanze: ASPI rimane tutta di Atlantia, sarà di Atlantia che CDP e F2I acquisiranno la quota di maggioranza. Quale quota? 51%? Troppo poco.
La Costituzione prevede l’esproprio a fini di utilità generale salvo indennizzo, un obbligo che vale siano ASPI o Atlantia il bene espropriato. (Valeva anche per l’ILVA dei Riva, e non ha portato molto bene). E lo Stato non può essere colui che espropria e fissa l’entità dell’indennizzo, quello avviene in altri ambienti: per intenderci, in un webinar di ieri, a cui partecipavano illustri accademici e personaggi politici di primo piano, è stato evocato il nome di Messina Denaro.
Ma non è la stessa cosa neppure per il Paese: Atlantia dopo l’operazione con Abertis, gestisce autostrade giro per il mondo, ha una partecipazione in Hochtief, una delle maggiori società di costruzione europee. Ed è partecipata da Allianz e della Belt and Road Initiative della Cina.
Che ci sia qualcuno orgoglioso che il nostro risparmio postale venga usato in simili imprese, ormai non scandalizza più. Ma che non ci sia nessuno che metta il governo di fronte alla responsabilità di distruggere così una delle poche grandi aziende che ci sono rimaste, questo non può essere.
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F.A.
4 annoe fa
Caro Franco,
avevo molto apprezzato questo tuo intervento e preso qualche appunto, mentre sto ancora cercando di capire se e quale accordo sia stato precisamente raggiunto (nessuno lo sa). Provo ad osservare:
Il primo anello … il fatto è che in Italia l’amministrazione della giustizia è disastrosa, sia per i tempi, sia per i risultati; un processo – un normale processo penale (finalizzato a sanzionare i responsabili) ed un parallelo giudizio civile (finalizzato a stabilire se vi fu un inadempimento capace di giustificare la risoluzione del rapporto: artt. 1453 ss. c.c.; affinché il contratto possa essere risolto dal giudice, l’inadempimento deve essere di “non scarsa importanza”: art. 1455 c.c.) – non ci sarà mai; di sicuro non sarà mai celebrato quello civile, interverrà quando tutto sarà stato definito quello penale …
Il secondo anello … è quello che avrebbe dovuto formare oggetto di un giudizio civile – e cioè un processo in contraddittorio con le relative garanzie del giusto processo (inclusa la pubblicità della sentenza, che è uno dei presidi della democrazia) – non di un procedimento amministrativo (lo prevedeva la concessione? svolto tra chi e chi? con quali garanzie e pubblicità?); il problema è se l’inadempimento di Autostrade fosse o meno tale da giustificare la risoluzione del rapporto (il punto, mi sembra, doveva essere questo: il concessionario che detiene una struttura, deve comunque rilevare le situazioni di pericolo, a prescindere da ogni altra condizione?)
Il terzo anello … in uno Stato di diritto, si celebrano i processi (all’occorrenza, esistono provvedimenti di urgenza che, quando si vuole, sono estremamente efficaci) e si puniscono i responsabili, ma non si dispone di strumenti utili ad intervenire sull’organizzazione di un’azienda: è una fortuna che sia così; se un rapporto si risolve per inadempimento, si cerca un nuovo interlocutore (si procede con una gara; se si vuole negare l’originaria scelta di privatizzare, provvede lo Stato, ma l’alternativa non dipende dal crollo del ponte: si tratta di una decisione politica più generale).
Parlando così, tra noi, senza conoscenza delle carte, direi che il crollo del ponte giustifichi la risoluzione per inadempimento della concessione (il problema non è la manutenzione, su cui non so dire, ma il mancato controllo della struttura, che in diritto privato consegue alla semplice “custodia”: art. 2051 c.c.; se il ponte stava per crollare, andava chiuso e il Prefetto di Genova andava messo nella condizione di emettere un ordine formale, cosa che, io credo, non avrebbe fatto); direi anche che, oltre alla risoluzione, sia dovuto il risarcimento del danno da ASPI e dagli organi dello Stato preposti al controllo (è un’ipotesi di concorso, che però non incide sul tema, diverso, della risoluzione della concessione).
Possibile o probabile il default di ASPI, capisco, ma è così che funziona … Lo Stato non espropria nulla e – si noti – non paga nulla: deve se mai essere risarcito da Aspi (e da sé stesso: diamo per scontato che vi sia stato concorso). Altro è che siano dovute indennità per un titolo non contrattuale (dunque, non per il mancato utile; invece, ad es., per i miglioramenti e gli investimenti: occorre, ancora una volta, un processo civile). Altro ancora è che lo Stato si renda acquirente di un ramo di azienda utile a gestire la rete, salvando così anche molti lavoratori: si deve stabilire il valore del ramo che acquista; e ancora, si può dire, una gestione efficiente dell’eventuale insolvenza di ASPI consentirebbe la nomina di un Commissario che continui ad operare in continuità e poi ceda il complesso in attività. Insomma, queste cose accadono e, volendo, gli strumenti giuridici per gestirli ci sono e come! Altro è che non si voglia utilizzarli …
Poi, questo proprio in generale, e in modo molto generico, credo si possa dire che la privatizzazione di Autostrade – forse corretta concettualmente e giustificabile nel momento storico in cui è stata decisa – sia stata operata molto male; si può insistere sulle privatizzazioni, ed io credo ben possibile che il Morandi sarebbe crollato anche in mano pubblica, ma bisognerebbe realizzarle meglio; forse, in un Paese come il nostro, si sarebbe dovuto fare più un lotto, provando a stimolare il mercato; e comunque si deve fare più attenzione ai profitti del privato ed alle tariffe del servizio.