Quanti rimproverano all’opposizione di non essere abbastanza incisiva e sue proteste e precisa nelle sue proposte, in una parola di non esserci, troveranno alimento alle loro accuse constatando che una nuova opposizione c’è, ed è tra le stesse forze che sostengono il governo: sempre più spesso la maggioranza dimostra di voler ricoprire entrambi i ruoli. Così l’opposizione, quella vera, si trova a confrontarsi con un bersaglio mobile, col rischio di essere scavalcata dai repentini ripiegamenti e ripensamenti della maggioranza stessa. Come se non bastasse, ogni giorno l’opposizione si vede offrire nuovi argomenti di scontro.
L’agenda delle ultime due settimane riporta: il rapporto sul conflitto di interessi, il caso Borrelli, le pensioni, la privatizzazione dell’Enel, le influenze esterne sulle nomine RAI, un paio di conflitti istituzionali, le esternazioni sulla mafia, gli spot televisivi. Al punto che vien da pensare se tutto ciò sia dovuto solo ad una compagine governativa arruffona per incompetenza e rissosa per arroganza, e non piuttosto al proposito di neutralizzare gli avversari saturandone le capacità di reazione: la bulimia come metodo di lotta politica. Non sono tra quelli che ritengono che i progressisti abbiano commesso un errore a fare una campagna elettorale sui temi del rigore. Non era quella una posizione strumentale: anzi questo continua ad essere il tema su cui continuare ad incalzare Berlusconi. Alcuni potranno ritenere di farlo con ulteriori manifestazioni di piazza, altri pensano si debba farlo proseguendo nello smascherare questo preteso rigore a senso unico. Rigore ed equità, dicevamo in campagna elettorale. L’equità non è solo una categoria morale, nè il rigore solo un valore numerico. Rigore è anche logica, chiarezza di ruoli, ordine e priorità nei temi, non questo accavallarsi di polemiche. Non c’è rigore in questa finanziaria: è stata la sorpresa a provocare alcuni frettolosi consensi. Basta un minimo di analisi per capire che a questa manovra fa difetto un qualunque disegno strutturale, basata com’è su interventi episodici, perlopiù non ripetibili, addirittura su escamotages linguistici (come quello che la riproposizione di un’imposta non sia una nuova imposta).
Rigore vorrebbe dire mettere al primo posto il vero problema strutturale, il vincolo del nostro debito. Con il debito che ci portiamo addosso, un differenziale di tassi di interesse di un paio di punti vale 40.000 Mld, cioè due volte e mezzo l’ammontare dei tagli strutturali previsti dalla finanziaria. Un Governo che avesse logica finanziaria e rigore economico nei propri cromosomi a questo obiettivo orienterebbe tutti i propri atti e non pochi silenzi. I mercati non si lasciano sedurre dagli escamotages: sanno giudicare i minori gettiti fiscali che si stanno consuntivando, le entrate future che vengono sovrastimate. Abbandonati gli strumenti per il controllo dei cambi, la sovranità dei tassi ormai appartiene al mercato. Tutti i governi sono riluttanti ad accettarne pienamente le conseguenze: rapporti dialettici tra governi e banca centrale non si riscontrano solo da noi: ma da noi hanno già assunto toni particolarmente vivaci, sì da autorizzare qualcuno a non considerare totalmente infondato 1′ “orribile” sospetto che al disco verde a Fazio per la nomina (ineccepibile sotto ogni aspetto) di Desario possa corrispondere 1′ attesa di un atteggiamento più comprensivo sul fronte dei tassi.
Rigore non è solo severità: anche mantenendo invariata la dimensione della ma-novra finanziaria, ci sono cose che i mercati leggerebbero come un approccio strutturale e non come affannosa rincorsa. Tre esempi. Primo: l’istituzione di un fondo cuscinetto a cui attingere in caso di evoluzione negativa dei tassi, come già fece il Canada. Secondo: destinare all’ammortamento del debito non solo i proventi delle privatizzazioni (già avviene), ma anche quella parte delle entrate che il Governo stesso ritiene irripetibili: dei 18.000 Mld che il governo prevede dai tre condoni, solo 5.000 vengono considerati “ripetibili” dal Governo nell’anno successivo, e dunque i rimanenti 13.000 andrebbero destinati alla riduzione del debito.
La terza proposta addirittura non è di natura monetaria. Questo Governo, che in campagna elettorale ha ottenuto di voler introdurre mercato e concorrenza nella nostra economia, non ha ancora provveduto a nominare il presidente dell’Autorità per il mercato e la concorrenza, dopo la scomparsa di Francesco Saja. Sulle privatizzazioni si sono persi anni a discutere anzichè a procedere alle operazioni di separazione societaria che avrebbero consentito di evitare la privatizzazione di monopoli: ora ci si sente dire che questa scelta è obbligata per la necessità di fare comunque cassa. Chiamare a presiedere l’Antitrust un personaggio di grande autorevolezza, indipendenza e determinazione potrebbe far sperare che la liberalizzazione verrà comunque perseguita anche a privatizzazioni avvenute. Se a Mario Monti, candidato dall’Italia a Bruxelles, non fosse offerta una direzione adeguata, la sua nomina a presidente dell’Antitrust sarebbe un’indicazione ai mercati che sappiamo imboccare la strada del rigore, e non solo quella della severità a senso unico.
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dicembre 1, 1994