La bulimia della maggioranza

dicembre 1, 1994


Pubblicato In: Varie


Quanti rimproverano all’opposizione di non essere abbastanza incisiva e sue proteste e precisa nelle sue proposte, in una parola di non esserci, troveranno alimento alle loro accuse constatando che una nuova opposizione c’è, ed è tra le stesse forze che sosten­gono il governo: sempre più spesso la maggioranza dimostra di voler ricoprire entrambi i ruoli. Così l’opposizione, quella vera, si trova a confrontarsi con un bersaglio mobile, col rischio di esse­re scavalcata dai repentini ripiegamenti e ripensamenti della maggioranza stes­sa. Come se non bastasse, ogni giorno l’opposizione si vede offrire nuovi argo­menti di scontro.

L’agenda delle ultime due settimane riporta: il rapporto sul conflitto di interessi, il caso Borrelli, le pensioni, la privatizzazione dell’Enel, le influenze esterne sulle nomine RAI, un paio di conflitti istituzionali, le esterna­zioni sulla mafia, gli spot televisivi. Al punto che vien da pensare se tutto ciò sia dovuto solo ad una compagine governativa arruffona per incompetenza e rissosa per arroganza, e non piuttosto al proposito di neutralizzare gli avversa­ri saturandone le capacità di reazione: la bulimia come metodo di lotta politica. Non sono tra quelli che ritengono che i progressisti abbiano commesso un erro­re a fare una campagna elettorale sui temi del rigore. Non era quella una posizione strumentale: anzi questo con­tinua ad essere il tema su cui continuare ad incalzare Berlusconi. Alcuni potran­no ritenere di farlo con ulteriori manife­stazioni di piazza, altri pensano si debba farlo proseguendo nello sma­scherare questo preteso rigore a senso unico. Rigore ed equità, dicevamo in campagna elettorale. L’equità non è solo una categoria morale, nè il rigore solo un valore numerico. Rigore è anche logica, chiarezza di ruoli, ordine e priorità nei temi, non questo accaval­larsi di polemiche. Non c’è rigore in questa finanziaria: è stata la sorpresa a provocare alcuni frettolosi consensi. Basta un minimo di analisi per capire che a questa manovra fa difetto un qua­lunque disegno strutturale, basata com’è su interventi episodici, perlopiù non ripetibili, addirittura su escamota­ges linguistici (come quello che la riproposizione di un’imposta non sia una nuova imposta).

Rigore vorrebbe dire mettere al primo posto il vero problema strutturale, il vin­colo del nostro debito. Con il debito che ci portiamo addosso, un differenziale di tassi di interesse di un paio di punti vale 40.000 Mld, cioè due volte e mezzo l’ammontare dei tagli strutturali previsti dalla finanziaria. Un Governo che aves­se logica finanziaria e rigore economico nei propri cromosomi a questo obiettivo orienterebbe tutti i propri atti e non pochi silenzi. I mercati non si lasciano sedurre dagli escamotages: sanno giudi­care i minori gettiti fiscali che si stanno consuntivando, le entrate future che ven­gono sovrastimate. Abbandonati gli stru­menti per il controllo dei cambi, la sovranità dei tassi ormai appartiene al mercato. Tutti i governi sono riluttanti ad accettarne pienamente le conseguen­ze: rapporti dialettici tra governi e banca centrale non si riscontrano solo da noi: ma da noi hanno già assunto toni parti­colarmente vivaci, sì da autorizzare qualcuno a non considerare totalmente infondato 1′ “orribile” sospetto che al disco verde a Fazio per la nomina (inec­cepibile sotto ogni aspetto) di Desario possa corrispondere 1′ attesa di un atteggia­mento più comprensivo sul fronte dei tassi.

Rigore non è solo seve­rità: anche mantenendo invariata la dimensione della ma-novra finan­ziaria, ci sono cose che i mercati leggerebbero come un approccio strutturale e non come affannosa rincorsa. Tre esempi. Primo: l’istituzione di un fondo cuscinetto a cui attin­gere in caso di evoluzione negativa dei tassi, come già fece il Canada. Secondo: destinare all’ammortamento del debito non solo i proventi delle privatizzazioni (già avviene), ma anche quella parte delle entrate che il Governo stesso ritie­ne irripetibili: dei 18.000 Mld che il governo prevede dai tre condoni, solo 5.000 vengono considerati “ripetibili” dal Governo nell’anno successivo, e dunque i rimanenti 13.000 andrebbero destinati alla riduzione del debito.

La terza proposta addirittura non è di natura monetaria. Questo Governo, che in campagna elettorale ha ottenuto di voler introdurre mercato e concorrenza nella nostra economia, non ha ancora provveduto a nominare il presidente dell’Autorità per il mercato e la concor­renza, dopo la scomparsa di Francesco Saja. Sulle privatizzazioni si sono persi anni a discutere anzichè a procedere alle operazioni di separazione societaria che avrebbero consentito di evitare la privatizzazione di monopoli: ora ci si sente dire che questa scelta è obbligata per la necessità di fare comunque cassa. Chiamare a presiedere l’Antitrust un personaggio di grande autorevolezza, indipendenza e determinazione potreb­be far sperare che la liberalizzazione verrà comunque perseguita anche a pri­vatizzazioni avvenute. Se a Mario Monti, candidato dall’Italia a Bruxelles, non fosse offerta una direzione adegua­ta, la sua nomina a presidente dell’Antitrust sarebbe un’indicazione ai mercati che sappiamo imboccare la strada del rigore, e non solo quella della severità a senso unico.

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