L’aumento prepotente delle nascite di figli illegittimi, cioè venuti al mondo al di fuori di un nucleo familiare tradizionale, deve considerarsi una normale evoluzione dei costumi delle società metropolitane, oppure un nuovo fattore di allarme e destabilizzazione? La domanda può forse scandalizzare i laici fautori dei diritti civili, ma su di essa riflettono pure gli economisti e i sociologi.
Il 1994 sarà l’anno che le Nazioni Unite dedicheranno alla famiglia, cui si assegna un ruolo fondamentale non solo nell’assicurare coesione sociale, ma anche nel favorire lo sviluppo economico. Che i figli nascano o meno all’interno di una famiglia «regolare», non è dunque indifferente: si pensi al problema della cura e dell’assistenza.
Il degrado dell’istituzione famiglia, in particolare l’aumento dei figli illegittimi, è visto come la causa principale dell’emergenza criminalità negli Usa: scuole che gli insegnanti dichiarano ingestibili, in cui si entra passando attraverso il metal detector, quartieri in cui droga e armi circolano liberamente tra giovanissimi. Noi ci commuoviamo e ci indigniamo per la sorte dei neonati abbandonati per strada, come di recente il piccolo Corrado di Torino, figlio dí una disgraziata adolescente. Negli Usa quello dei figli illegittimi è un fenomeno che presenta dimensioni e dinamica impressionanti. Il dato bruto è che, nel 1991 sono nati 1,2 milioni di figli fuori dal matrimonio, quasi il 30% di tutti i nati vivi. Quant’è la percentuale di figli illegittimi che una società può tollerare senza compromettere la propria coesione? Nella comunità negra, trent’anni fa gli illegittimi erano il 26% (oggi sono il 68%, e nei centri urbani, vicino all’80%); si ritiene che il superamento di quella soglia ne abbia da allora innescato la disgregazione. La correlazione del fenomeno con la condizione economica è evidente. Adesso nella comunità bianca la percentuale di illegittimi è del 22%; che il diffondersi del fenomeno possa portare anche nella comunità bianca gli stessi fenomeni distruttivi conosciuti dalla comunità negra è più che un’ipotesi.
Se l’iniziativa dell’Onu appare dunque quanto mai opportuna, sarà però bene essere da subito avvertiti dei rischi di strumentalizzazione che essa comporta. Sarà un caso, ma proprio in concomitanza dell’annuncio Onu, alcuni deputati francesi lanciavano la proposta di risolvere i problemi della disoccupazione lasciando le donne a casa a fare il loro mestiere di mogli e di madri. Il «Wall Street Journal» il 16 novembre riportava i dati sopra citati dedicandovi, con insolito rilievo, quasi un’intera pagina; oltre ai dati, impressionavano le proposte, che rimettono in discussione conquiste che si pensavano acquisite per sempre, il divorzio, la libertà di decidere sull’aborto, la parità dei diritti tra uomo e donna, i temi delle grandi battaglie civili degli Anni 70. Ricompare l’idea che, dato che è sbagliato mettere al mondo un figlio quando non vi si è preparati emotivamente o finanziariamente, chi lo fa non ha diritto all’aiuto della società: solo il bambino ha diritto all’aiuto. Quindi: eliminare ogni sussidio a madri single, rendere obbligatorio dare il bambino in adozione quando non si hanno i mezzi per mantenerlo, spendere grandiosamente (buon per lui) in asili o orfanotrofi. D’accordo: chi lo suggerisce non è esattamente un giornale liberai e l’editoriale ha scatenato notevoli polemiche, ma fa una certa impressione leggere simili proposte, tutte, non a caso, a carico delle donne. Come fa impressione l’uso del ricatto economico (ma anche di quello sessuale, ad esso sempre più sovente associato) per decidere dell’affidamento dei figli. Si rilegga in questa luce l’episodio della segretaria di uno studio legale di New York che dorme in auto, avendo lasciato a casa del marito abbiente i suoi due bambini (come ha raccontato sulla «Stampa» Furio Colombo).
Il procedimento logico è noto: si tende a punire e reprimere le conseguenze, quali la crisi della struttura familiare, senza capire le cause che le provocano. Il che non significa che il problema possa essere ignorato, e in particolare proprio da quella cultura progressista che propugna in Italia i diritti civili.
dicembre 17, 1993