Relazione di Francesco Forte
1.E’ molto strano che si sostenga che è necessario vendere un a parte rilevante del nostro patrimonio immobiliare pubblico e privatizzare le imprese pubbliche statali e sopratutto locali per abbattere il debito pubblico e, nello stesso tempo, si sostenga che per risanare i nostri conti pubblici occorre una imposta patrimoniale. Chi dovrebbe comperare gli immobili pubblici e le azioni delle imprese pubbliche privatizzzate , se popi rischia di pagarci una imposta patrimoniale?. E a quale prezzo si pensa di vendere questo patrimonio, se si preannuncia che il suo valore di mercato sarà intaccato da una patrimoniale ? Forse non si vogliono fare queste dismissioni di patrimoni pubblici.
Grosso modo , ci sono, sul campo , tre proposte di tassazione patrimoniale
La proposta di una imposta patrimoniale straordinaria sulle famiglie italiane di 600-400 miliardi di euro, sostenuta rispettivamente da Giuliano Amato e da Alessandro Profumo, che ricadrebbe in gran parte sugli immobili che rappresentano la quota maggiore e più facilmente accertabile della ricchezza netta delle nostre famiglie
La proposta di una patrimoniale ordinaria di natura prevalentemente immobiliare, caldeggiata dalla presidente della Confindustria Emma Marcegaglia , che si può stimare attorno ai 20 miliardi annui
La proposta di Ignazio Visco della Banca di Italia di una mini imposta patrimoniale immobiliare di 8-6 miliardi annui con cui si finanzierebbe una riduzione dei costi del lavoro e si riequilibrerebbe il rapporto fra tassazione immobiliare italiana che incide per lo 1,5% del Pil e la percentuale francese che è del 2% ( per arrivare alla % spagnola si dovrebbe adottare la soluzione n. 2)
2.La tesi di Alessandro Profumo che occorra in Italia una imposta patrimoniale straordinaria sui ricchi capace di dare un gettito di 400 miliardi al fine di attuare una drastica riduzione del rapporto debito pubblico Pil e quella di Emma Marcegaglia, presidente uscente di Confindustria, che serva una patrimoniale ordinaria di gettito imprecisato, distribuita un po’ su tutti, per finanziare la riduzione dell’Ires e per eliminare o ridurre drasticamente la componente dell’Irap riguardante i costi del lavoro, si scontrano , per quanto riguarda la loro agibilità e la loro necessità, con il fatto che si ha una informazione globale approssimativa sulla entità dei patrimoni privati italiani ma non si conosce affatto la quota che riguarda i contribuenti abbienti , i cosi detti ricchi .
3.I soggetti che dichiarano un reddito superiore ai 500 mila euro sono appena 4 mila . Se immaginiamo che di media essi dichiarino un reddito di un milione, e che la parte di reddito di capitale sia di 800 mila euro , il loro reddito da capitale sarebbe solo di 3,2 miliardi . E supponendo che il rendimento del loro patrimonio sia il 4% al lordo delle imposte , cifra minima il patrimonio sarebbe di 25 volte tanto, cioè 80 miliardi di euro solamente . Scendendo, a 300 mila euro i contribuenti , con reddito non eccedente i 500 mila euro sono circa 35 mila e il loro reddito globale , assumendo un reddito medio di 400 mila euro, circa 14 miliardi. Ma è ragionevole supporre che il loro reddito da capitale non sia più del 60%, cioè che il loro reddito da lavoro medio sia almeno 140 mila euro .Il loro reddito da capitale , dunque sarebbe, di 8,4 miliardi . Con il solito rendimento del 4% , il loro patrimonio sarebbe di 210 miliardi. La ricchezza ufficiale dei ricchi, ufficialmente dichiarata, con la stima più generosa non supera i 290 miliardi.
Come si vedrà fra un attimo, la ricchezza finanziaria delle famiglie , al netto di depositi bancario e moneta contante, di titoli del debito pubblico e risparmio pensionistico è di 2200 miliardi e quella immobiliare delle famiglie per edilizia residenziale è di altri 5500 miliardi. In totale 7700 miliardi. I 290 miliardi di patrimoni dei ricchi sono appena il 3,8 del totale. Ammesso che si detraggano 2000 miliardi per i piccoli patrimoni, essi sono il 5,1% del totale . E’ dunque chiaro che la proposta di tassazione patrimoniale di Alessandro Profumo, considerata come una generosa dichiarazione di disponibilità degli abbienti, a risolvere i problemi del nostro debito, mediante una imposta patrimoniale a loro carico, in realtà non riguarda i ricchi, ma i soliti polli da spennare, il ceto medio.
4. Emma Marcegaglia non ha quantificato la sua patrimoniale ordinaria : la Confindustria, con la direzione di questo presidente,ha infatti la caratteristica di fare dichiarazioni di natura generica, che i media riportano con ossequio, senza domandare spiegazioni . Poiché una imposta è caratterizzata da almeno quattro requisiti, il soggetto, l’oggetto, il metodo di accertamento, l’aliquota sull’imponibile così accertato può chiarire chi sarebbero i soggetti, quale la materia tassabile, quale la sua valutazione e quale l’aliquota . Bisognerebbe specificare i quattro requisiti i questione . E già che ci siamo, poiché Emma Marcegaglia ritiene che questo tributo serva per ridurre il carico fiscale sul reddito di impresa e quello sul lavoro dell’Irap, occorrerebbe specificare l’entità di tale riduzione in termini di gettito . Le risposte non ci sono. Azzardo , per altro, che l’aliquota a cui si pensa è attorno al 5 per mille , come nella maggior parte dei casi per l’ICI (che varia fra l’aliquota massima al 7 per mille con aliquota minima del 4 ) E presumo che per attuare i propositi enunciati dalla Confindustria , che negli obbiettivi condivido, anche se non nella formula (conosco la mia, quella confindustriale è ignota) servano 20 miliardi annui . Infatti, l’obbiettivo è di ridurre i costi del lavoro e la tassazione dei redditi di impresa generati dall’Irap. Essa rende 40 miliardi, ma 10 sono a carico del valore aggiunto delle Pubbliche Amministrazioni . I restanti 30 sono a carico delle imprese e (per una quota minore) del lavoro autonomo. 20 derivano dai costi del lavoro 10 dagli altri valori aggiunti lordi e ricadono suoi redditi lordi di impresa e lavoro autonomo. La mia proposta consiste nel dividere l’Irap in due parti, una sui costi del lavoro deve rimanere e denominarsi contributo sanitario nazionale, affinché sia chiaro che questa spesa regionale non è un pasto gratis, l’altra in una addizionale sui redditi di impresa. ( Il contributo però andrebbe reso trasparente stabilendo che non sia sui costi del lavoro lordi di contributi sociali gravanti sulle imprese ,che sono circa il 38% ma netti, e quindi risulterebbe , in equivalenza di gettito , del 7%). Il contribuito sanitario regionale sarebbe detraibile dall’imposta sul reddito delle imprese e del lavoro autonomo. Ciò comporta , per i 20 miliardi di esso una perdita di gettito che, con una aliquota del 30 % sui redditi di impresa e di lavoro autonomo , è di circa 6 miliardi e ne riduce il peso dal 5% al 3,5%. I contributi sociali andrebbero ridotti di 4 miliardi in modo da dimezzare la pressione della aliquota del contributo sanitario rispetto a quella dell’Irap sui costi del lavoro lordi di contributi data da una aliquota media del 5% equivalente a una del 7% sui costi del lavoro prima dei contributi. In effetti la pressione dei contributi sociali sui costi del lavoro scenderebbero di 3,5 punti. La perdita di gettito sarebbe di 10 miliardi. La parte di Irap restante va trasformata in addizionale all’imposta sul reddito di impresa, con una riduzione equivalente dell’imposta statale. Il che comporta una perdita di gettito di altri 10 miliardi, In totale 20 miliardi di minor gettito . E gran parte dell’Irap rimarrebbe a finanziare le Regioni, ma la sua pressione perversa sarebbe in gran parte annullata sia sui redditi di impresa che sui costi del lavoro ed essa sarebbe trasformata , per la sua componente reddituale, in una addizionale all’imposta erariale sui profitti lordi di una quota di interessi, che è un tributo detraibile dalle imprese estere, in base alle convenzioni internazionali, a differenza dell’Irap, che è una imposta ad esse ignota
Ma la soluzione di finanziare questa riforma con una imposta patrimoniale è aberrante .Ci sono, come spiegherò, mezzi molti p0iù conformi alle regole della buona tassazione, i n una economia di mercato, per farlo.
Supposta una patrimoniale che dia un gettito annuo di 20 miliardi, cerchiamo di capire chi la pagherebbe, con gli attuali accertamenti fiscali e con quale pressione fiscale addizionale sul reddito . Supponendo che essa abbia una aliquota dello 0,5% come l’ICI media . Essa supposto un reddito lordo del 4%, sarebbe il 12,5 % del reddito . Una pressione molto elevata , su chi giò paga le imposte dovute, Il gettito sui ricchi sarebbe di 2 miliardi e 150 milioni. I restanti 17 miliardi e 850 milioni li dovrebbero dare i polli da spennare con una materia tassabile di 200 volte pari a 3570 miliardi.
La ricchezza finanziaria lorda delle famiglie alla fine del 2007 era valutata dalla Banca di Italia a 3700 miliardi.- Da questo totale si dovrebbero detrarre 210 miliardi di titoli pubblici e 590 miliardi di moneta contante e di depositi a vista., cioè 800 miliardi nonché 610 miliardi di riserve dei fondi assicurazione, che corrispondono a risparmio per la pensione e l’assicurazione sulla vita o sulle malattie e 115 miliardi di crediti commerciali cioè altri 725 miliardi ossia in totale 1525 miliardi circa . Rimangono 2125 miliardi di materia finanziaria tassabile , da cui bisognerebbe detrarre le passività, che sono circa il 20% e le quote di chi ha una minima capacità contributiva e quelle di chi ha nascosto i capitali . In sostanza non più di 1400 miliardi. Prima di queste detrazioni la tassazione patrimoniale sulla ricchezza finanziaria delle famiglie dovrebbe gravare su 380 miliardi di depositi bancari vincolati, 355 miliardi di titoli bancari, 50 di titoli obbligazionari di imprese, 260 miliardi di quote di fondi comuni italiani ed esteri, 880 miliardi di azioni possedute in Italia e altre 100 possedute all’estero, e su 120 miliardi di titoli obbligazionari posseduti all’estero . Come mai Emma Marcegaglia vuole migliorare l’ efficienza del nostro sistema tributario , dal punto di vista produttivo, tassando i mille e cento miliardi di azioni, partecipazioni e titoli obbligazionari delle imprese e i mille miliardi costituiti da 740 miliardi di depositi vincolati e titoli bancari e da 260 miliardi di quote dei fondi comuni , gestiti per lo più dalle banche ? Non sono stati appena varati un aumento dell’imposta sulle rendite finanziarie dal 12,5 al 20% e un tributo di bollo sui portafogli di titoli gestiti dagli intermediari finanziari ?
Ma ecco che emerge il vero oggetto della tassazione patrimoniale cui la Confindustria marcegagliana sta pensando :il patrimonio immobiliare delle famiglie del medio ceto e del certo minuto . La ricchezza immobiliare del settore residenziale è stimata in 6.300 miliardi di euro La quota di essa delle famiglie è l’87% cioè 5500 miliardi . Ma più della metà della ricchezza immobiliare delle famiglie , cioè 3367 miliardi, è costituito da “prime case” ( che a volte di fatto sono seconde case, nel paese di origine ). Infatti il 74% delle famiglie italiane possiede l’abitazione in cui legalmente risiede per un valore medio di 182mila euro, ovvero 1.597 euro a metro quadro, attualmente esonerati dall’ICI . Le restanti unità immobiliari residenziali delle famiglie, che ammontano a 2.133 miliardi sono o seconde case o immobili in affitto. Esse quando sono in affitto a famiglie pagano la cedolare secca appena istituita, ed oltre ad essa l’ICI , che varia fra il 4 e il 7 per mille . Negli altri casi , sono soggetti all’IRPEF e all’ICI .
C’è poi una ricchezza immobiliare di edilizia residenziale pari al 13% del totale , circa 600 miliardi che è di proprietà di enti e società, che pagano l’IRES e l’ICI .
5. Dunque vi sono patrimoni per 3300 miliardi di euro, costituiti da prime case , che potrebbero fornire il grosso della base imponibile della nuova patrimoniale , sostenuta da Emma Marcegaglia, che ha bisogno di una base imponibile di 3600 miliardi. Ma prima dell’esonero totale delle prime case dall’ICI , vi era un esonero parziale , per carenza di capacità contributiva, che lasciava fuori dalla tassazione almeno la metà di questa materia imponibile . La tesi per cui la patrimoniale consente di ridurre la pressione sul lavoro dipendente , se si tratta di tassare la prima casa, si risolve in una beffa in quanto gran parte delle famiglie che possiedono la prima casa sono costituite da lavoratori dipendenti , che hanno contratto un mutuo a lungo termine per ottenerla . L’esonero dell’ICI della prima casa ha permesso di evitare insolvenze , che altrove si sono verificate , nei mutui immobiliari ed ha dato un beneficio ai lavoratori dipendenti che risparmiano ed un sostegno al mercato edilizio e alle banche , in un periodo di difficoltà . In genere la difesa dell’imposta patrimoniale si basa sulla sua presunta equità distributiva, mentre se il progetto marcegagliano è quello di tassare le prime case con una patrimoniale erariale, si tratta di un tributo doppiamente iniquo: perché tassa la famiglia in proporzione al suo fabbisogno di metri quadri , derivante dalla sua composizione e perché non discrimina i soggetti in base al reddito . L’argomento che tassa solo i fortunati che hanno la casa e non quelli che non ce l’hanno non regge perché non si tratta di fortuna ma di risparmio raggranellato con pazienza e perché , spesso, ci sono le rate del mutuo da pagare.
6. Poiché una parte di questi immobili è gravato da mutui o comunque appartiene a soggetti a basso reddito , e non si può non stabilire un minimo esente, come quello che esisteva nell’ICI , per la prima casa, prima della sua abolizione però questa materia imponibile non basterebbe. Bisognerebbe recuperare qualche migliaio di miliardi di imponibili nelle proprietà immobiliari delle famiglie nell’edilizia residenziale in affitto sottoposta ad ICI e in quella commerciale in uso proprio o in affitto alle imprese, anche essa sottoposta all’ICI e forse nella proprietà rurale, non sempre facilmente distinguibile da quella classificata i fini del catasto dei fabbricati. Qualcuno può pensare ,poi, al patrimonio ecclesiastico e a quello dell’edilizia pubblica, di enti diversi dalla Amministrazione dello Stato, che è molto vasto. Per gli immobili diversi dalla prima casa ci sarebbe una doppia tassazione patrimoniale erariale e locale . Per la prima casa ci sarebbero gli inconvenienti che ho appena indicato. Per la ricchezza finanziaria delle famiglie ci sarebbe un effetto depressivo sul mercato finanziario e sulle banche , che già soffrono in relazione ai problemi del debito pubblico , tenuto anche conto del fatto che ora la tassazione delle rendite finanziarie è del 20% e che il costo della gestione dei portafogli di titoli da parte degli intermediari finanziari è gravata di imposte di bollo crescenti . E se ci si fermasse ai soli patrimoni immobiliari ci sarebbe una discriminazione fra patrimoni immobiliari e finanziari che potrebbe apparire oltreché iniqua e distorsiva degli investimenti , anche incostituzionale .
Dove si estenderebbero i tentacoli di questo tributo , dunque, non è chiaro, probabilmente neppure a Emma Marcegaglia che, incautamente ne parla. Ma ciò sembra fatto apposta per gettare un diffuso turbamento in svariati settori patrimoniali e dell’investimento, con effetti depressivi su entrambi.
7. Io credo che ci sia , in tutto questo, molto dilettantismo ,mentre il vero problema non è di inventare nuove imposte ma di accertare meglio e far pagare quelle che ci sono. Ed a questo riguardo la proposta che io penso si debba fare, se si vuole una politica tributaria seria verso i ricchi è quella di adottare migliori metodi di accertamento. Come il redditometro di massa , per i soggetti che posseggono e mantengono per il proprio uso beni di lusso costosi, come automobili da 100 mila euro, imbarcazioni da diporto, cavalli, aerei ,personale di servizio fisso in aggiunta a seconde e terze case di elevato costo di esercizio . Ciò in base non al titolo di proprietà ma al possesso , con il criterio semplice e minimale della moltiplicazione per quattro del costo di esercizio e ammortamento di tali beni , per pervenire al reddito lordo di imposta minimo. Dato che il carico fiscale sarà attorno al 40% ,il 25% del reddito lordo è il 41% di quello netto . Non è presunzione irragionevole supporre che ai beni di lusso non si dedichi più del 40% del reddito netto. E’ presumibile che i redditi così determinati derivino da patrimoni non dichiarati , in quanto in gran parte gli alti redditi che vengono dichiarati son o redditi di lavoro dipendente e redditi professionali conseguiti per prestazioni per società ed enti , che pagano solo su fattura.
Nel 2009 la ricchezza netta degli italiani era stimata da Banca di Italia in 8600 miliardi mentre la ricchezza del 10 % più ricco della popolazione italiana ne avrebbe il 45% del totale, 3870 miliardi. Il 5% più ricco dovrebbe , dunque, avere almeno il 25% del totale , cioè 2.150 miliardi, che al 4% danno 86 miliardi . Attualmente il reddito dei 25 mila contribuenti con più di 300 mila euro annui è circa 18 miliardi, quello dei 50 mila contribuenti con reddito fra i 200 e i 300 mila euro è di 12,5 miliardi .In totale 40,5 miliardi . Ammesso che una quota del 12% sia costituita da redditi tassati con la cedolare sulle rendite finanziarie non è azzardato stimare che il redditometro di massa ne possa fare emergere 40 , con un gettito di Irpef di 14 miliardi.
8.Quanto alla tassazione patrimoniale suggerita dalla Banca di Italia, essa la suggerisce per riequilibrare la tassazione del reddito di lavoro con quello di capitale . La ipotesi minima è quella di togliere contributi sociali impropri per 6 miliardi. La minimi patrimoniale in questione dovrebbe gravare sugli immobili, sulla base del rilievo che in Italia la pressione fiscale sulla proprietà immobiliare è solo lo 1,5% del Pil mentre in Francia è del 2% e in paesi come la Spagna il 3%. Ammettendo un allineamento alla Francia, la proposta della Banca di Italia comporta un gettito di 8 miliardi. L’allineamento al 2,2% , facendo una media fra Italia, Francia e Spagna comporta un gettito di 11 miliardi , poco più della metà di quello della Marcegaglia . Osservo che la tesi per cui in Italia il reddito da lavoro è eccessivamente tassato rispetto al resto dei redditi, che la Banca di Italia sostiene, andrebbe verificata alla luce del divario fra contributi sociali e spesa per la protezione sociale , che riguarda le pensioni, la disoccupazione, la cassa integrazione guadagni, l’assicurazione per assenze da malattia, mi pare comporti un deficit di quasi 5 punti sul Pil . Comunque , è noto che attualmente la tassazione immobiliare è , in larga misura, evasa o elusa sia mediante gli immobili fantasma, che mediante contratti di affitto in nero, che mediante lacune nelle rilevazioni catastali . E invece che pensare a nuove imposte sugli immobili, sarebbe opportuno dedicarsi alla individuazione di queste evasioni ed elusioni , mediante strumenti come il confronto fra utenze di energia elettrica e unità immobiliari , mediante l’aggiornamento del catasto su base reddituale e con i controlli foto-informatici. Non è certamente impossibile accrescere dallo 1,5 al 2% del Pil la tassazione degli immobili, facendo pagare le imposte esistenti a chi non le paga . Ciò potrebbe dare, gradualmente, 8 miliardi senza bisogno di una patrimoniale . Ci vorrebbe qualche anno, ma credo che la metà di questa cifra possa essere raccolta anche nel giro di un biennio, senza bisogno di fiscalismi e di terrorismi fiscali, semplicemente recuperando imponibili evasi . E dunque i 20 miliardi che servono per la riforma fiscale che la Confindustria propone copiando male le mie tesi e quelle di Banca di Italia sarebbe ampiamente finanziata.
9.In ogni caso, è assurdo che si proponga una imposta sul patrimonio , come imposta sui ricchi , quando in realtà a causa della attuale carenza dei sistemi di accertamento, non si conosce il reddito dei ricchi derivante dai patrimoni. Ma mentre i tenori di vita possono consentire di stimare una parte dei i redditi che i ricchi non dichiarano , è vano supporre che essi possano consentire di stimare i patrimoni . E d’altra parte , la scienza delle finanze spiega che le imposte sul patrimonio in una finanza sana si pagano col reddito, perché il fisco per avere un introito permanente deve tassare i frutti non la pianta da cui derivano. E’ paradossale che per porre rimedio a una crisi dovuta a carenza di risparmio – causata dal deficit lending – cioè dal finanziamento con carte di credito e mutui immobiliari, a soggetti non capaci di restituire il debito, da parte di intermediari finanziari non dotati di adeguati parametri patrimoniali , garantiti da assicurazioni prive di adeguate riserve , che impiegavano denaro preso a prestito- si voglia tassare proprio il risparmio ; e che per fare una politica di crescita basata sulla competitività , che a parità di rapporto capitale /prodotto , comporta più capitale , per avere più prodotto si propugni di porre le imposte sul capitale . Forse ci sono residui di comunismo che hanno inquinato banchieri e confindustriali, tanto da convincerli che il capitale è sterco del demonio, non concime per lo sviluppo.
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settembre 19, 2011