Borghesia e rappresentanza politica è il tema di un dibattito svoltosi alla Festa dell’Unità mercoledì scorso, e a cui hanno partecipato Alfredo Reichlin, Giorgio Bogi e Franco Debenedetti. Di quest’ultimo pubblichiamo una sintesi dell’intervento.
Consigli per l’opposizione»: sui giornali sembra diventata una rubrica fissa. L’opposizione dovrebbe: darsi un governo ombra o lavorare per progetti, rafforzare le proprie strutture o sciogliere le proprie organizzazioni; allenare un proprio leader o attendere per non bruciarlo; sommare i propri voti o mantenere le proprie identità; perdere la propria ala estrema o aggregare tutti i consensi. Perfino, come chiede Sergio Romano, dare una mano con senso di responsabilità (anzi di colpa!) alla maggioranza, dato che un giorno tutto questo potrebbe essere suo (ma si sa che era una tentazione nel deserto).
Pochi si chiedono perché mai la sinistra non dovrebbe continuare a essere relegata all’opposizione. In questo paese, è sempre stata una qualche aggregazione centrata sulla borghesia ad esprimere il governo: che cosa è cambiato? La questione dell’opposizione richiama quella della continuità o discontinuità dell’attuale maggioranza rispetto a quelle che per SO anni hanno governato questo paese.
Trasformismo
Secondo Asor Rosa (l’Unità del 27 agosto), «di nuovo regime rappresenta davvero l’erede della parte peggiore del vecchio regime. Siccome il quadro sociale non è stato intaccato, il quadro politico ne è stato solo trasformisticamente boulversè». Certo, ci sono elementi di discontinuità nel trasformismo. L’avere sostituito l’appoggio dei partiti laici rimettendo in gioco l’opposizione neofascista, rende superflua la ricerca di un consenso sociale basato sulla solidarietà, seppure a volte in modo vuoto o distorto; dà mano libera rispetto alle regole. Mani Pulite potrebbe anche essere dovuta al fatto che il costo dell’intermediazione politica era diventato troppo elevato, e che .era opportuno trovare modi per gestire in proprio, senza intermediari, il rapporto con la pubblica amministrazione. Semplificato il processo politico, eliminate molte mediazioni, questo governo rappresenta una soluzione più efficiente di quelli del passato per quella borghesia che lo esprime.
Proviamo a guardare questo governo con gli occhi degli altri. Allora la volgarità apparirà difetto trascurabile, la mancanza di cultura politica un merito, i pericoli democratici per l’informazione lamenti di vecchi garantisti, le improvvisazioni verranno generosamente perdonate. Questo governo ci darà: un po’ di flessibilità del mercato del lavoro (l’aveva già fatto Ciampi), qualche ritocco al sistema delle pensioni (come Amato), qualche riduzione dello stato sociale (sappiamo che così non si va avanti), un po’ di privatizzazioni (le fanno ovunque). C’è posto anche per la solidarietà: al 20% della popolazione in stato di indigenza si può, e conviene riservare una quota del reddito prodotto. Piccolo cabotaggio, cambiamenti omeopatici neppure vistosamente dissennati. Non è quello che abbiamo sempre avuto? Neppure Rumor era un Kennedy, né De Mita una Thatcher. 1 prossimi 3-4 anni saranno verosimilmente di congiuntura favorevole: sarà più facile galleggiare sull’onda. Perché cambiare?
Economia cambiata
Il fatto è che la continuità trasformistica dei quadri politico e sociale deve poi fare i conti con un’economia profondamente mutata. Si diceva, emblematicamente, dei governi Rumor. ma allora la disoccupazione era congiunturale, le il debito inferiore al 50% del Pii. Oggi debito al 125% e disoccupazione strutturale ci incrodano su una stretta cengia, ci pongono di fronte a vincoli ineludibili. Si parla di mutazione della struttura produttiva, da un’economia manifatturiera ‘a un’economia dei servizi. In questa non lavorano solo ragazzi che friggono hamburger: la McDonald è una delle più grandi società immobiliari al mondo. Per cablare l’Inghilterra con fibra ottica sono necessari 30mila miliardi. I pacchetti di software della Microsoft o della Lotus o della Borland rappresentano investimenti dell’ordine del miliardo di dollari. Solo un gigantesco investimento in formazione consentirà all’Europa di mantenere l’equilibrio sul livello di reddito e di benessere che ancor oggi ne fanno la prima area economica del mondo: altrimenti l’economia dei servizi che conosceremo sarà proprio quella di chi gli hamburger li fa friggere per conto della McDonald. O di chi il software lo compera dalla Microsoft e lo installa. L’economia dei servizi è ad alta intensità di capitale: dove trovarli, se il nostro risparmio continua a dover finanziare i debiti dello Stato, se, per evitarci una crisi finanziaria, siamo costretti a economie sugli investimenti in servizi pubblici, e per averne di più efficienti si deve intaccare una delle basi sociali della maggioranza?
Qui veniamo al nocciolo del problema, che ha tre facce: un fisco che funzioni, una pubblica amministrazione che non disperda ricchezza, un debito pubblico che non immobilizzi una quota assolutamente prevalente del risparmio nazionale. Chi ha espresso questa maggioranza non vuole pagare le tasse, e spera di continuare a lucrare ricchi interessi esentasse comprando il debito dello Stato: pensiamo che cambierà rappresentanza politica solo perché l’opposizione gli propone una legge migliore sulla scuola?
Questo governo ha avuto un’occasione storica di por mano al problema del debito pubblico: invece di lamentarsi del debito ereditato, poteva disconoscere l’eredità. Esito che qualcuno, anche dall’opposizione, in campagna elettorale aveva giudicato probabile: sì, anche sperato, essendo chiaro che questa era l’unica cosa che lo schieramento progressista proprio non avrebbe potuto fare. Successivamente, pur con la responsabile prudenza dovuta a un argomento così esplosivo, c’è chi, in modo sempre più chiaro, è arrivato fino a ipotizzare i modi in cui risolverlo: imposta patrimoniale, o qualche forma di consolidamento. Ma come poteva questo governo decentemente affrontare un problema che tocca il patrimonio degli elettori senza prima aver fugato il sospetto (che per molti è la certezza) che la famosa discesa in campo fosse motivata dalla preoccupazione di mantenere il proprio? E quanto alle tasse, con quale autorità morale potrà mai parlare, dopo quello che è venuto alla luce su rapporti dell’azienda del capo dell’esecutivo con l’amministrazione fiscale? Finché ci si illuderà che le cose possano andare avanti così, evadendo il fisco e finanziando il debito, per quel nocciolo duro di cui parla Asor Rosa, quello che ha come ragion d’essere l’accumulazione della ricchezza e non la produzione di beni, questa è la migliore rappresentanza politica che si possa aspettare: di più, è una garanzia.
Necessità di cambiare
Ma all’inversione del ciclo ci verrà presentato il conto: la quel momento il Mediterraneo sarà diventato più stretto. All’opposizione non resta dunque che aspettare che il governo si scavi la fossa da sé, una fossa in cui tra l’altro cadremmo tutti, maggioranza e opposizione? Non basterà, a proporsi come forza di governo, legittimarsi fornendo giudiziose soluzioni alternative su temi pure importantissimi, pensioni, immigrazione, criminalità: non si diventa maggioranza facendo l’ufficio studi per gli altri. Non basterà prospettare rigore o austerità: ci abbiamo già provato e non ci è andata bene. Né ricordare che le regole sono parte integrante dei metodi politici delle altre grandi nazioni europee: sterile è il ruolo delle vestali. Né testimoniare che lo stato sociale è un bene’ prezioso: non lo si salva con un conservatorismo piagnone.
Non si diventa maggioranza senza: essere rappresentanza politica anche di una larga parte della borghesia: il (provvisorio?) consenso del grande capitale non basta. Il problema è far capire (non solo dl grande capitale) che la ricetta che è andata bene per tanti anni non può continuare a funzionare ca.11 biando il packaging; che la società dei servizi non è a buon mercato, ma richiede giganteschi investimenti in capitale, incominciando da quello umano; che questi capitali si otterranno solo spostando il risparmio dal finanziamento del debito a quello di attività produttive; che l’equilibrio dei conti dello Stato si realizza sul lato della spesa come su quello delle entrate.
Un programma politico che affronti con coraggio anche il nodo dei Bot e di far pagare a tutti le tasse sembra l’equivalente di un suicidio. Ma anche uscire dall’Europa è un suicidio: evitarlo dovrebbe interessare anche una parte di questa borghesia. Non è essa ad essere anomala rispetto all’Europa, lo è la sua attuale rappresentanza politica. Sostituirsi ad essa, essere i rappresentanti politici di questi interessi, questo è il traguardo dell’opposizione.
Ma bisognerà saper rapprese% tare in modo positivo l’opportunità, e non solo la necessità, di cambiare; riuscire a dare un’idea più credibile del ruolo centrale dell’impresa, una proposta più convincente sui rapporti tra questa, lo Stato, il mercato. 2 in questa parte positiva che si registra il vuoto maggiore, e qualche occasionale incertezza. Forse perché il progressista teme di dover aiutare a risanare lo Stato, per poi affidarne la ricostruzione al mercato (ovviamente «selvaggio»)? Ma dove, meglio che in Europa, la «mano invisibile» è stata di fatto una «stretta di mano invisibile»? La contrapposizione non è più tra destra e sinistra, tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, tra efficienza e solidarietà, ma fra chi vuole restare in Europa e chi vi si lascia scivolare ai margini: questa, neppure quanto a garanzie ed opportunità, può essere una prospettiva allettante.
Tweet
settembre 12, 1994