Io, appellante (e pentito)

luglio 24, 2005


Pubblicato In: Varie


Perché si firmano appelli sui giornali? Me lo chiedevo leggendo che quello lanciato dagli economisti italiani sul Sole 24 Ore, per una politica di riequilibrio dei conti pubblici, è stato sottoscritto già da 143 accademici. Uno dei primi atti della mia vita politica, nel 1995, fu proprio scrivere l’appello a favore del progetto della prima riforma Berlusconi sulle pensioni, e riuscire ad avere le firme di Franco Modiglioni, di Sylos Labini, di Mario Baldassarri, e di Romano Prodi.

D’accordo, c’è una gran differenza tra un documento articolato, quasi un programma di politica economica, ed un appello secco su un tema specifico, dettato da un’urgenza particolare, firmato da pochi: ma sempre appello era, sempre pensare che la logica delle tesi e l’autorevolezza di che le sottoscrive valgano a conquistare consenso presso il pubblico di tale ampiezza da costringere il decisore politico a tenerne conto. Ma così si corre un rischio di sopravvalutazione, non solo e non tanto della propria influenza nel formare l’opinione pubblica, ma della forza delle idee in sé nel determinare le decisioni politiche. Il meccanismo attraverso il quale le idee diventano atti politici, è mediato dalla considerazione degli interessi, in particolare degli interessi organizzati, quelli dei tassisti come dei farmacisti, dei metalmeccanici come degli accademici stessi. La ragione per cui per cui tanto sovente i dettami della migliore teoria economica non vengono seguiti, è perché essi colpiscono immediatamente interessi concentrati e daranno – nella migliore delle ipotesi – benefici differiti a interessi diffusi. E’ dunque alla gente, agli elettori, che gli appelli sono in ultima analisi rivolti, sono loro quelli da convincere, non i decisori politici.
La fiducia illuministica nella forza delle idee é un pericolo che dobbiamo sempre avere presente. In fondo è l’errore che abbiamo fatto, anch’io tra tanti, nel promuovere i referendum (essi pure occasione di numerosi e autorevoli appelli): l’entusiasmo per le nostre idee ci ha impedito di valutare la temerarietà dell’iniziativa. Per la stessa ragione, dall’altra parte, chi accusava di arrogante onnipotenza le tesi dei referendari, non riusciva a vedere che l’arroganza vera stava nel supporre che, solo perché le tesi ci parevan giuste, la gente corresse a votarle.

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