Sinedocche è la figura retorica con cui «si usa figuratamente una parola di significato più ampio o meno ampio di quella propria, ad esempio una parte per il tutto, il contenente per il contenuto».
E nominalismo è «negare agli oggetti della realtà ogni valore che vada oltre quello rappresentato dai relativi segni verbali». Così il Devoto-Oli.
Oggi chiarezza richiede di avere il coraggio di rinunciare alla forza comunicativa della figura retorica; di non avere nominalisticamente paura delle parole, per mirare invece alla realtà delle cose.
L’Ulivo è stato il tutto: si genera un equivoco se si continua a usare lo stesso nome per un’iniziativa che vuole raccogliere il consenso di una parte soltanto di coloro che l’hanno a suo tempo votato.
Partito è una parola screditata: ma una «cosa» che raccolga consensi, che selezioni candidati, che si presenti con un proprio simbolo ad elezioni politiche, potremo chiamarla movimento, unione, lega, comitato, potremo sottintenderne il nome, sempre partito è, questo è il nome che la Costituzione dà alle libere associazioni dei cittadini.
L’Ulivo non è stato un partito: il sistema politico italiano resta «una partitocrazia senza partiti», così come quello economico è ancora largamente un capitalismo senza capitali. Difettano le forme organizzative per raccogliere ed indirizzare, le une il risparmio al controllo delle imprese, le altre il consenso al controllo del Paese. Ma se i partiti come costose macchine politiche dell’ultima fase degenerativa non esistono più, restano i loro simboli, ultime stenografiche tracce di visioni politiche in cui pure molti si identificarono.
Romano Prodi ha il coraggio di costruire un partito, ha il realismo di rivolgersi ad una parte dell’Ulivo originario. Oltre alla sua capacità di suscitare entusiasmo, può ora far leva sul timore delle formazioni minori di scomparire a seguito del referendum: fondere, e non solo raccogliere, appartenenze diverse appare un obiettivo raggiungibile.
L’Ulivo evidentemente era un «contenente» troppo «ampio» per tradizioni troppo distanti: lo sforzo di coalizzarle tutte per un progetto non è bastato. Fonderne una parte in un partito è, probabilmente, la strada obbligata, l’unica percorribile, verso il bipolarismo.
In questa prospettiva; le «ragioni» di Romano Prodi appaiono destinate a ricongiungersi, domani, con quelle di Veltroni e di D’Alema: se oggi si rinuncia alla retorica e non si ha paura delle parole.
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gennaio 28, 1999