Inefficienza madre di tutti i vizi

novembre 8, 1997


Pubblicato In: Giornali, Il Messaggero


Per mesi i lavori della Bicamerale so­no stati bloccati dallo scontro sulla giustizia. La battaglia per la legalità annega il paese in un torrente di polemiche che non trova soluzione né a Milano né a Ro­ma, né a Palermo. E’ la croce dolorosa del­l’irrisolta transizione italiana.

Vicende apparentemente slegate stanno invece tutte ben piantate in questo Golgo­ta. Domani Di Pietro affronta il voto degli elettori del Mugello; giovedì il Governo ha affrontato quello della Camera sulla soluzione della crisi bancaria siciliana. Il vota in Toscana è divenuto una sorta di impro­prio timbro politico su Mani Pulite; quello alla Camera è stato inve­ce l’avallo alla chiusura necessitata dell’ennesi­mo episodio di malage­stione certo, di malversa­zione probabilmente.

Entrambi i voti hanno a che fare con la morali­tà pubblica, e il loro suc­cedersi a breve scadenza li rende emblematici del­le due vie che ci vengo­no alternativamente pro­poste per affermare la legalità: la dura spada del­la giustizia penale l’una, il grigio pragmatismo della necessità l’altra. Nessuna delle due vie configura una soluzione istituzionale al proble­ma. L’una persegue a pa­role il massimo del rigo­re, nei fatti una pericolo­sa traduzione politica dei meriti togati; l’altra il minimo dei danni per superiori esigenze di go­verno.

Soluzioni vere sono in­vece quelle che suggeri­sce il rapporto finale che Gustavo Minervini, presidente della “Commis­sione di studio per con­trastare i fenomeni di corruzione”, ha presenta­to al Governo. Resa pub­blica il 24 ottobre, la re­lazione avanza 18 propo­ste concrete, che fanno giustizia del 90% dei luo­ghi comuni che alimen­tano il dibattito sulla legalità. Si tratta di solu­zioni figlie di una conce­zione liberale delle istitu­zioni, di una graduale revisione in senso efficien­tista della pubblica am­ministrazione, dei suoi obiettivi procedure e controlli, sulla strada in­trapresa dalle leggi Bas­sanini. L’esatto opposto di quel mix penal-populista stigmatizzato alla proposta 17: “va evitata la via errata ed inutile di una legge generale an­ti-corruzione, incentrata su misure repressive nei confronti delle persone, avanzata dalle proposte di legge volte all’istitu­zione di un Garante del­la legalità”: la strada su cui purtroppo pare inol­trarsi il lavoro parallelo (come spesso avviene in Italia) dell’analoga Com­missione istituita alla Camera, relatore l’on. Elio Veltri. Al contrario la relazione Minervini avanza rimedi che stan­no più nei regolamenti amministrativi che nelle leggi, tanto meno nelle leggi penali.

I fenomeni di corru­zione, riconosce il rap­porto, hanno cause mol­teplici: non estranea ad esse un’imprenditoria privata che non rifiuta­va l’intervento pubblico purché fosse più di soste­gno che di controllo. Ma il brodo di coltura della corruzione è e resta la pervasività e l’inefficien­za della pubblica ammi­nistrazione. Non a caso tra le proposte più signi­ficative di Minervini ci sono quelle volte a dimi­nuire l’intermediazione pubblica. “Eliminare i procedimenti ammini­strativi che distorcono la concorrenza” si legge al punto 7; mentre i pun­ti da 14 a 16 avanzano preziosi suggerimenti volti a rendere più rapi­de e trasparenti le proce­dure di privatizzazione.

Certo, affermare che la legalità non è di de­stra o di sinistra, ma di­scende da regole nuove condivise, è meno spet­tacolare. Battersi pei l’elezione in Parlamento di pubblici ministeri può risultare convenien­te; ma mentre ci dilania­mo per questo, anche la misura apparentemente più inoffensiva – l’innal­zamento dei contributi dal 10% all’11,5% e poi al 19% per i lavoratori cosiddetti parasubordi­nati, disposto per supe­riori esigenze di riequili­brio dei conti Inps – an­che questa misura accre­sce di fatto, nel silenzio, il lavoro nero, e dunque gli illeciti fiscali ed am­ministrativi ad esso con­nessi.

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