di Paolo Bricco
Ai francesi i brevetti e i segreti industriali del gruppo di Parma
Mani francesi sulle tecnologie italiane.
In caso di successo dell’Opa, Lactalis controllerà un’azienda ristrutturata dalle fondamenta da Enrico Bondi, con un ciclo di investimenti ultimato e un mix di segreti industriali e di brevetti depositati che la rendono un boccone prelibato. Molto prelibato. Più di quanto non sembri a un occhio superficiale, che si fermi alla natura di commodity del latte e che associ una scarsa forza innovativa all’agroalimentare.
Gli analisti e gli investitori riconoscono di solito due punti di forza a Parmalat: la solidità finanziaria basata su 1,4 miliardi di euro di cassa, ottenuti da Bondi attraverso una strategia aggressiva e oculata degli accordi stragiudiziali con le banche corresponsabili del crac Tanzi; e la focalizzazione commerciale, perseguita grazie ad una segmentazione attenta e redditizia del posizionamento di mercato dei prodotti.
Meno conosciuto è quanto è capitato dentro gli stabilimenti, italiani e stranieri. Il 6 ottobre del 2005 la nuova Parmalat è stata ammessa in Borsa. Dunque, ha un senso analizzare gli esercizi successivi alla stabilizzazione patrimoniale e azionaria del gruppo. Nel 2006 gli investimenti in immobilizzazioni materiali, riportati sull’annuario di R&S Mediobanca, sono stati pari a 100 milioni di euro. Nel 2007 a 120 milioni. Nel 2008 a 142 milioni. Nel 2009 a 96 milioni. Senza calcolare il 2010, la cifra impiegata dalla gestione Bondi è di 458 milioni. Se l’Opa andasse in porto, i francesi prenderebbero il controllo di una impresa che ha ultimato una parte significativa dei suoi cicli di investimenti. E che, nonostante la guerra finanziaria in corso, sta continuando ad ammodernare i siti produttivi: per esempio, proprio in queste settimane negli stabilimenti lombardi la Parmalat sta montando nuovi impianti di sterilizzazione.
C’è, poi, il tesoretto più puramente tecnologico, composto da 13 brevetti depositati allo European Patent Office di Monaco dal 2004, primo anno effettivo della conduzione Bondi. Un filone curato ogni giorno dai settanta specialisti impegnati nella Ricerca e Sviluppo del gruppo di Collecchio. Su quest’ultimo versante, la Parmalat di Bondi ha proceduto in sostanziale continuità con la Parmalat di Calisto Tanzi, autore di un gigantesco buco truffaldino ma anche imprenditore tutt’altro che sprovvisto della capacità di applicare su larga scala innovazioni poco sfruttate dagli altri. Tre dei tredici brevetti oggi in portafoglio hanno come autore Alberto Rota, uno degli azionisti della Parmalat di Calisto Tanzi e storico direttore con delega alla ricerca. Nel periodo aureo della prima Collecchio, quando erano ancora di là da venire i falsi documenti fabbricati dall’ufficio di ragioneria per attestare inesistenti tesoretti finanziari, l’ingegner Rota e il professor Vittorio Bottazzi, direttore dell’istituto di microbiologia della Cattolica di Piacenza, elaborarono l’idea, che ancora oggi è protetta dai brevetti, di lavorare ad alte temperature e per pochi secondi il latte scremato (allora proveniente dalla Baviera, oggi da tutta Europa) e di trattarlo industrialmente in volumi enormi. Una leadership nel latte Uht che permane.
La tutela brevettuale vale anche per la microfiltrazione, che allunga la “vita” del latte eliminando i batteri che lo manderebbero a male. Gli altri brevetti hanno profili che spaziano dalle tecniche di trasformazione del latte all’innovazione di prodotto nei succhi di frutti, con specializzazioni in qualche maniera complementari al portafoglio detenuto da Lactalis (14 brevetti depositati a Monaco dal 2004), concentrato naturalmente sui formaggi e sul packaging.
Lactalis non avrebbe soltanto accesso all’innovazione formalizzata e protetta dai brevetti. C’è tutto il capitolo dei segreti industriali nell’organizzazione degli stabilimenti e nell’innovazione di processo, che ogni giorno consentono rilevanti recuperi di produttività.
Proprio il mix fra tecnologia di produzione, organizzazione e capacità brevettuale (dal packaging alle tecniche di trasformazione e di lavorazione del latte), rappresenta la ricetta industriale con cui il manager aretino ha fatto salire il margine industriale lordo, in proporzione al fatturato, dal 5,2% del 2005 al 6,2% del 2007, dal 7,2% del 2008 all’8,8% dell’anno scorso. E che ora, in un sol boccone, finirà probabilmente ai francesi.
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