«Niente nozze tra telefono e televisione». Il progetto del ministro delle Poste Giuseppe Gambino è stato presentato dai giornali come il divieto di un evento improponibile e quindi improbabile, quale la fusione fra Stet e Fininvest. Si nasconde così il fatto sostanziale, il blocco a un’eventualità auspicabile e possibile: è chiaro infatti che se non potranno fornire servizi telefonici e televisivi insieme, non nasceranno operatori-cavo, i soli che possono fare concorrenza al monopolio Stet nelle aree urbane, dove la maggior parte delle comunicazioni hanno origine e termine.
Nonostante preveda la peraltro inevitabile apertura per le reti alternative (Autostrade, Enel, Snam), il progetto è di chiara ispirazione conservatrice: fotografa le imprese come sono oggi, anziché lasciare che si aprano a percorsi evolutivi, che all’estero di manifestano nelle alleanze e fusioni di cui quasi quotidianamente leggiamo.
Ovunque si teme lo strapotere dell’industria delle comunicazioni, e noi abbiamo particolari motivi per farlo: ma altrove ci si basa sulle forze della concorrenza, Gambino lo fa invece con divieti governativi. Bloccando per tutti la possibilità dei nuovi sviluppi, quali nascono dalla convergenza di telefono e televisione, imprese nuove non possono nascere; a quelle esistenti si impedisce la diversificazione e si offre la consolazione si trarre tutti i benefici dal congelamento di una posizione inattaccabile. Scambio perdente: impedite di diversificarsi nel proprio Paese, le nostre imprese saranno anche escluse da espansioni e collaborazioni con operatori di nazionalità diversa dalla nostra.
Il ministro Gambino incardina astutamente la sua proposta nella netta separazione concettuale tra proprietario di reti e fornitori di servizi, cavallo di battaglia di Pascale (che evidentemente non considera servizio quello telefonico), e nel rifiuto di ricorrere a regolamentazioni asimmetriche, ovunque applicate per consentire la nascita di concorrenti al monopolista. Si congela così la vera asimmetria: Telecom investirà somme gigantesche, pagate dalle nostre bollette, per cablare le principali città; nessun altro investirà solo per trasmettere la televisione.
Il monopolio telefonico nelle reti urbane sarà assicurato, e si estenderà al multimediale. Se poi questo darà ricavi incerti o troppo lontani nel tempo, come sembrano confermare le più recenti esperienze, proprio in virtù degli investimenti fatti, Telecom potrà sempre chiedere che il divieto a fornire servizi più tradizionali venga sospeso: temporaneamente, s’intende.
agosto 26, 1995