Fondazioni bancarie: Debenedetti contro Tremonti
Controllo da parte degli elettori su come le Fondazioni spendono il reddito del loro patrimonio; controllo da parte del mercato sugli assetti proprietari delle banche e sulla loro gestione: questi i due principi che negli ultimi anni i governi hanno cercato di affermare in nome dell’interesse generale e dell’efficienza allocativa; questi i principi alla cui applicazione si sono opposti gli interessi coalizzati intorno alle Fondazioni.
Voglio far credito a Tremonti – e non è poco – di volersi porre in linea di continuità con i suoi predecessori Amato, Dini, Ciampi, Visco, e credere che la modifica che egli propone alla normative sulle Fondazioni sia ispirata a quei principi. E’ in questa ottica che intendo indicare le ragioni di consenso e quelle di dissenso
Sul metodo il dissenso è netto: e’ inaccettabile introdurre la nuova normativa con un emendamento in Finanziaria, così come è inaccettabile che la stessa cosa faccia il Ministro Frattini per proporre un nuovo assetto delle Autorità. Il governo Berlusconi dispone di una larga maggioranza. Questo metodo é quindi una manifestazione o di fretta o di arroganza: entrambe inutili.
Con questa norma si interferisce in modo assai penetrante su soggetti che la legge Ciampi ha reso di diritto privato. L’avesse fatto la sinistra si sarebbe gridato a una odiosa nazionalizzazione; basterà alla destra definirlo una virtuosa regionalizzazione? Immagino che lo staff di Tremonti abbia ben valutato il rischio che tutto ciò si riduca a colossale regalo ai legali che si occuperanno del probabile contenzioso.
Consenso suscita invece l’aver stracciato il velo di ipocrisia sulla presunta pariteticità degli organi delle fondazioni tra membri politici e membri della “società civile” (infatti essi pure derivano la loro autorità dall’indicazione politica). Regioni, Province e Comuni avranno la maggioranza degli organi di indirizzo delle Fondazioni: ci saranno quindi dei responsabili, esposti al giudizio degli elettori.
Le Fondazioni potranno investire il patrimonio anche “in collegamento alle finalità di utilità sociale con particolare attenzione allo sviluppo del territorio”, come recita la relazione illustrativa. In tal modo si riapre per le fondazioni il rischio di diventare finanziarie regionali, supplenti ai compiti del governo e delle regioni, eventualità che pure in sede di discussione della legge Ciampi tutti, compresi i rappresentanti dell’attuale maggioranza, avevano negato. Sarebbero queste le fondazioni “all’americana” a cui Tremonti dichiara di volersi ispirare?
Ma è la proprietà delle banche la pietra di paragone su cui misurare l’efficacia di ogni intervento sulle Fondazioni bancarie. Tremonti è preciso nel chiudere le scappatoie attraverso le quali le fondazioni in concerto tra loro sono riuscite ad avere ruoli determinanti degli assetti proprietari di importanti banche. “Una società bancaria o capogruppo bancario si considera controllata da una fondazione anche quando il controllo è riconducibile, direttamente o indirettamente a più fondazioni”. Dovrebbe essere definitivo.
La legge Ciampi indicava nel giugno 2005 il tempo limite concesso alle fondazioni per dismettere le loro partecipazioni bancarie. Tremonti aggiunge un anno in più a una condizione, che queste partecipazioni siano affidate a una società di gestione del risparmio. A prima vista sembrerebbe una proroga da accettare con rassegnazione. Già il 2005 era il risultato di una moratoria di due anni aggiunta al termine del 2003: al punto in cui siamo, anno più anno meno …
Ma allora che bisogno c’è di introdurre il marchingegno delle SGR , per attivare il quale dovrà intervenire Bankitalia indicandone i criteri per gli assetti e emanando “ogni altra disposizione [...] avuto riguardo alle condizioni di sana e prudente gestione”?
“ Invece (corsivo mio) di essere obbligate a dismettere la partecipazione di controllo, – a volte irrealistica per le condizioni di mercato – le fondazioni possono….”. La frase della relazione fa nascere un sospetto; l’inciso, con la solita scusa di tutti quelli che non voglio vendere, lo avvalora. Nessuno mi leva la convinzione che questo finirà per essere solo il primo passo, e che, una volta introdotto, il modello SGR diventerà l’approdo definitivo. E su questo il dissenso è netto e radicale. Perché non si sfugge al dilemma: o le Fondazioni, attraverso le SGR, hanno potere di controllo sulle banche, e allora ritorniamo al controllo pubblico; o non ce l’hanno, e allora gestiscono male, investendo tutto il patrimonio su un unico titolo con difficoltà di smobilizzo e senza poteri sul management.
Sarà Bankitalia, attraverso il potere che questa legge le attribuisce sulle SGR, ad esercitare la sua supervisione sugli assetti proprietari delle banche e sul loro evolversi. E’ probabile che sia questo il prezzo che Tremonti ha pagato per rompere il fronte che finora ha sostenuto le Fondazioni: ma in tal modo il momento in cui il controllo delle banche sarà determinato delle libere forze del mercato si allontana vieppiù. Col 2005 ci saranno voluti 15 anni per (non) riuscire a sciogliere l’intreccio banche – Fondazioni: non è proprio il caso di ricominciare con le SGR. Le depenni dunque Tremonti dalla sua proposta. E se proprio non può, le vincoli in modo credibile a una breve – e certa – provvisorietà. Questo è l’elemento determinante per giudicare se egli è un liberalizzatore del potere del mercato o un restauratore del potere delle Fondazioni.
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dicembre 5, 2001