Al direttore.
Quali possono essere le ragioni della perdita di 120 miliardi di $, la più grande in un giorno nella storia di Wall Street, che ha subito giovedì il titolo Facebook?
Ci saranno di certo quelli che vi avranno la “giusta punizione” per il comportamento incauto (o doloso) con cui Facebook si appropria dei nostri dati e li vende a chi ne approfitta per farci comprare cose di cui non abbiamo bisogno e farci esprimere valutazioni politiche che mai avremmo liberamente prese. Ma si dovranno rassegnare: dopo il tonfo di giovedì, la quotazione di Facebook ha recuperato tutta la perdita seguente allo “scandalo” di Cambridge Analytica, ed è più alta dell’85,% degli ultimi 12 mesi.
Ci saranno anche i fan della Commissaria Vestager, coloro che vi vedranno conferma che l’Europa è un posto dove concorrenza e privacy vengono tutelati seriamente. Anch’essi delusi: infatti dopo l’emanazione della GDPR, la maggioranza dei clienti europei ha optato per consentire a Facebook la più ampia facoltà di uso dei propri dati. Tutti e due insieme, GDPR Cambridge Analytica, mettono a rischio solo un 3% dei ricavi europei, che a loro volta sono prodotti da 280 milioni di utenti, contro i 2.300 milioni in tutto il mondo.
Il fatto è che il mondo di oggi è pieno di persone che sono piene di se stesse. Basta perdere mezz’ora a guardare “l’oceano dei blog, tweet, tubes, spaces, faces, pages, pods, che mostrano migliaia di individui affascinate dalla loro personalità, e che reclamano attenzione”. La citazione è di Sarah Bakewell, all’inizio del suo saggio su Montaigne, ed è troppo bella per non citarla tutta. “Estroversi disinibiti, si guardano dentro come mai prima d’ora, e anche se blogger e internauti scrutano nella loro sfera privata, comunicano con i loro simili in un festival collettivo dell’io. La grande avventura della nostra epoca potrebbe essere scoprire chi abita il mondo, un individuo alla volta”. Questo è ciò che Facebook consente, e i comportamenti di miliardi di persone non possono cambiare rapidamente.
Ciò che colpisce, nel tonfo di giovedì, è la rapidità con cui è avvenuta, senza che ci fossero segni premonitori. E neppure è ascrivibile a notizie di perdite, o di fatturato o di utile, ma solo di una minore loro crescita, il 7% in meno del trimestre precedente, e che si preannuncia possa continuare durante l’anno un calo quindi della derivata seconda. Il problema per Facebook non è conquistare clienti, e la loro attenzione passiva, ma spingerli a “connessioni significative” con amici e parenti: Facebook potrebbe aver raggiunto i limiti di crescita nei mercati pubblicitari che ha sottratto a giornali e altri media, e trovare difficoltà a replicarlo con la televisione.
E allora a che cosa attribuire un evento così eccezionale? Forse ha ragione John Authers sul Financial Times: il mercato potrebbe aver sbagliato prima, in come aveva prezzato il titolo Facebook. Insomma si sarebbe ripetuta la vecchia favola del re nudo. In questo caso, è solo un po’meno l’oro che cade dal suo mantello.
*Il testo in grassetto ha dovuto essere tagliato per mancanza di spazio
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di Sarah Bakewell – Vintage (6 gennaio 2011), 400 pagine
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