di Giuliano Ferrara
Sarebbe una trasandatezza far finta di niente, via. Con le dimissioni di Berlusconi e l’avvento di Monti di qui alla primavera elettorale del 2013 è successo qualcosa. E per far ripartire la democrazia politica sospesa bisogna capire nella sostanza che cosa sia successo davvero. Fate come me, prendete un foglio bianco e segnate i punti di divisione degli scorsi vent’anni su una colonna, sull’altra gli obiettivi comuni ai governi di ogni segno e alle diverse culture politiche, comuni a “tutti” (escluse le ali più radicali). Vedrete che, alla luce della crisi e del montismo tecnocratico, “tutti” è parola nuova.
Che cosa è stata l’alzata di testa di Berlusconi, cioè dimettersi tardi e male come in una fuga, poi non sapere che fare, infine appoggiare il governo tecnico sul serio e considerare possibile una continuità del nuovo ciclo anche dopo le elezioni del 2013 (le smentite di chi “mente sapendo di smentire” non contano, perché è ovvio che anche la verità si può smentire ma resta politicamente vera)? E’ stata il famoso e scespiriano metodo rintracciabile in tanta follia (Though this be madness, yet there is method in’t. Amleto, atto secondo, scena seconda). C’è da dire che Monti l’ha aiutato, il metodo, perché ha scelto un profilo istituzionale politicamente responsabile, e per ragioni serie (indagate da Marco Valerio Lo Prete nel Foglio di giovedì scorso) che non riguardano solo la necessità di accaparrarsi i voti del centrodestra residuo alle Camere. Monti fa per curare la crisi italiana quello che Berlusconi e Prodi non sono stati in grado di fare nel casino divisivo sistematico del ventennio, questa è la sostanza vera delle cose.
Ma ora, e torniamo al foglio bianco, la faccenda è integralmente rivoluzionata. Bisogna ragionare di politica al netto di quelle truci rappresentazioni caimanesche ancora inseguite da Zagrebelsky & C., che sul Grand Guignol ci fanno i festeggiamenti milanesi del club dei miliardari puri e duri, con l’appoggio imbarazzato di Repubblica alla loro piattaforma contro il Monti istituzionale e, s’immagina, il corruccio del Fondatore che invece vorrebbe eternizzare il governo tecnocratico come nuovo modello di governo del presidente, l’unico per lui costituzionalmente accettabile. Nella colonna sinistra del foglio ci sono il conflitto di interessi, che decade o si ridimensiona fortemente; il conflitto con i magistrati, che dopo la prescrizione Mills si limita a una penosa affaire di spionismo nella privacy di un uomo privo di cariche pubbliche; il conflitto personale o di stile, meno interessante nella normalizzazione istituzionale; il conflitto sul comunismo, ormai archeologico; il conflitto su Carlo De Benedetti e la Mondadori, per così dire risarcito e monetizzato. E si potrebbe continuare con i ferrivecchi di un’epoca tramontata. Che cosa resta, invece?
Restano gli obiettivi che in questi anni di bestiale contrapposizione erano in realtà comuni a “tutti”, alle leadership di volta in volta disarcionate o deragliate dalle ali estreme delle coalizioni (Berlusconi, Prodi, D’Alema, Prodi 2 con Padoa Schioppa). Si conoscono fino alla noia, sono le soluzioni conosciute e riconosciute, più o meno: pensioni, mercato del lavoro, liberalizzazioni, politiche pro mercato, politiche pro crescita, poteri del premier, fine del bicameralismo uggioso, nuovi regolamenti delle Camere (c’è già l’accordo bipartisan). E’ l’orizzonte possibile dell’epoca Monti, al quale va aggiunto il controllo dei conti dello stato in relazione al debito, sulla scia severa di Tremonti, e la prospettiva di una riforma del sistema fiscale che limiti le tutele oppressive dello stato sull’impresa e sul lavoro, in una prospettiva disciplinare tedesca ed europea.
“Tutti” è dunque parola nuova, e acciuffarla vuol dire avere istinto e trovare forse la chiave per una ridislocazione non faziosa, non retro, della politica oggi sospesa. Vuol dire andare oltre l’orizzonte del 2013 in modo appena sensato. Ciascuno dei grandi partiti, in forme ancora tutte da stabilire, avrà la sua da dire. Gli esclusi per definizione sono i radicalizzati di tutte le sponde. Il centro parlamentare può decidere molte condizioni di gioco. Una cosa sola è certificata dal teorema: sarebbe assurdo arrivare al 2013, e ricominciare a darsele di santa ragione, alla cieca. Chi può seriamente chiamarsi fuori?
Tweet
marzo 3, 2012