Il sociale di mercato e la deriva socialista

agosto 31, 2008


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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I rischi di Tremonti Andrebbe ridisegnato il welfare da cima a fondo. In Italia ancora troppa protezione verso i soggetti forti

Giulio Tremonti ha annunciato per l’autunno un’ampia discussione sull’economia sociale di mercato. Poichè questa espressione ha subito negli anni mutazioni e perfino metamorfosi, c’è da chiedersi che cosa con essa si intenda, oggi, in Italia.

“Sociale”, nella sua più diffusa accezione, ha significato redistributivo: l’economia di mercato fa crescere le pecore e lo stato (sociale) le tosa. In tal caso quella di Berlusconi, sarebbe una singolare parabola politica: iniziata col modello Thatcher, si avvierebbe a conclusione con quello di Olaf Palme. Il problema è che oggi la quantità di lana prodotta dipende dalle previsioni dei pastori sulle forbici del tosatore. Fuor di metafora georgica, con i mercati comunicanti, il capitale reagisce alle aspettative e agli incentivi.

“Sociale” ha anche significato protettivo, nel senso di attenuare per i soggetti deboli le durezze e i rischi del mercato. Ma i nostri ammortizzatori sono una CIGS che avvantaggia in primo luogo le grandi imprese, una spesa sociale che se ne va quasi tutta in pensioni, una pubblica amministrazione sovente usata per lenire la disoccupazione. “Sociale” sarebbe il ridisegno da capo a fondo del sistema del welfare: qualcosa di ben più radicale del pur apprezzabile libro verde del Ministro Sacconi. Sul punto cardine, l’art.18 dello Statuto dei lavoratori, il centrodestra non ha alcuna intenzione di riprendere il timido esperimento che tentò nella legislatura 2001- 2006.

Se verso i soggetti deboli, i lavoratori, il sistema protettivo è assai poco “sociale”, verso i soggetti ”forti”, le aziende, è tutto tranne che “di mercato”: non lo fu ieri verso le banche meridionali ( solo per citare uno tra innumerevoli esempi), non lo è oggi verso le linee aeree o i campioni nazionali; non lo è con i dazi, né con gli ostacoli agli investitori esteri. Come può un’economia dirsi “sociale” se fa pagare ai consumatori i costi delle proprie scelte, come può dirsi “di mercato” se ne ostacola il funzionamento?

“Sociale” potrebbe essere sinonimo di sussidiario. Sarebbe davvero sociale una politica che restituisse agli individui e alle loro organizzazioni una parte dei compiti oggi svolti dallo stato: ad esempio che consentisse a chiunque di fondare una scuola, che desse reale autonomia ai presidi, e restituisse ai genitori la possibilità di scegliere la scuola per i propri figli. Oppure una politica della sanità in cui i privati non fossero limitati ad essere solo fornitori di servizi comunque intermediati dal pubblico, ma rappresentassero una autonoma offerta in concorrenza con il pubblico, dando così ai cittadini reale possibilità di scelta. Ma né di una cosa né dell’altra si vede traccia nel programmi di governo: al contrario di quanto sta succedendo in Germania, come analizza Carlo Bastasin (Il modello tedesco di mercato sociale, il Sole 24 Ore, 28 Agosto). Se invece si intende sociale nel senso di “responsabilità sociale di impresa” si incappa nella nota aporia di fondo: nell’allocazione di risorse scarse, l’alternativa ai meccanismi di mercato è inevitabilmente quella dei meccanismi politici, con il che l’economia non è più sociale, ma socialista.
Sulle definizioni in positivo prevalgono sovente quelle in negativo: l’economia sociale di mercato sarebbe il modello europeo contrapposto a quello americano, in particolare di George W. Bush. Ma a ben vedere, la presunta “crisi del mercato selvaggio”, si dimostra in larga parte interna all’intervento pubblico. Bush ha vinto il suo secondo mandato su una piattaforma di conservatorismo compassionevole, che é la traduzione in americano di economia sociale di mercato; nel mercato dei mutui, le due istituzioni finanziarie con garanzia implicita del governo, Fannie Mae e Freddy Mac, sono figlie dell’interventismo di Franklin D. Roosevelt. Si accusa l’America di non aver saputo “governare” la globalizzazione: ma quelli che accusano il lassismo di Greenspan sono probabilmente gli stessi che protestano per la severità di Trichet. Soprattutto, come ha spiegato Mario Draghi a Jackson Hole (e sul Sole il 23 Agosto), é tecnicamente molto complesso andare oltre la semplice affermazione che la politica monetaria non può ignorare la salute dei mercati finanziari, e questo a causa della “quantità di informazioni che sarebbero necessarie per gestire una politica monetaria che abbia tra i suoi obiettivi la stabilità finanziaria. In altre parole, dovremmo sapere della parte regolamentata e di quella non regolamentata dell’industria dei servizi finanziari almeno quanto sappiamo riguardo all’inflazione e alla produzione.”

Ludwig Ehrard, la cui interpretazione della soziale Marktwirtschaft ebbe grande parte nel miracolo tedesco, avrebbe spiegato ai colleghi della Mont Pélérin Society che “sociale” era l’aggettivo per conquistare consenso politico al sostantivo economia di mercato: così almeno dice la tradizione orale, dato che i lavori dell’associazione liberista sono rigorosamente a porte chiuse. Nelle discussioni – certamente aperte- che il Ministro Tremonti ha preannunciate, sarà interessante vedere se i termini sono rovesciati: e cioè se il passato liberale del berlusconismo verrà usato per farne accettare la sostanziale deriva socialdemocratica.

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