L’obiettivo specifico, oggi, dovrebbe essere: liberalizzazioni, riduzione dell’imposizione sul lavoro, innalzamento dell’età pensionabile
La concertazione è lo strumento con cui Ciampi domò l’inflazione nel ’93, imboccando la strada che ci ha poi portato all’euro. È un patto politico in cui le parti sociali si fanno carico dell’interesse generale in vista di un obiettivo specifico. Questi elementi caratterizzanti nell’attuale situazione non ci sono più. È diverso l’assetto politico, dove il maggioritario ha consolidato un’alternanza di governo cui le parti sindacali stentano a prendere le misure.
È venuto meno l’obiettivo specifico: l’inflazione è ora saldamente sotto controllo, la stabilità dell’euro è protetta da un formidabile apparato di istituzioni e di trattati. E quanto all’interesse generale, nelle confederazioni prevale la difesa dei diritti della minoranza di insider, quelli tutelati dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, e quelli che sono già in pensione, rispetto alla maggioranza di autonomi, parasubordinati, irregolari, disoccupati e non occupati.
Sulle pensioni, la cosa è ancora più evidente. I sindacati hanno indetto scioperi contro la decontribuzione per i nuovi assunti perché in tal modo – dicono – si genera uno squilibrio a lungo termine nel bilanci dell’Inps.
È vero, ma i sindacati si rifiutano di mettere mano all’istituto delle pensioni di anzianità che di quello squilibrio porta la maggiore
responsabilità. Mentre non muovono un dito per la categoria dei parasubordinati, i cui contributi, passati dal 13% al 16,5%, sono proprio quelli che per diversi anni serviranno a pagare le pensioni di quelli che già godono di tutte le tutele.
L’obiettivo specifico, oggi, dovrebbe essere quel complesso di adeguamenti cui proprio ieri la Commissione europea guidata da Romano Prodi ha richiamato l’Europa, in vista dell’obiettivo di essere l’area economica più competitiva del mondo entro il 2010: liberalizzazioni, riduzione dell’imposizione sul lavoro, innalzamento dell’età pensionabile.
In vista di realizzare più crescita, occupazione e sostenibilità del Welfare. Ma perché la concertazione sia feconda su questo obiettivo, come lo fu per contenere l’inflazione, serve un salto culturale. È certamente opportuno e auspicabile che il confronto tra le parti sociali si svolga senza inutili asprezze, moderando tra l’altro il ricorso allo sciopero nei servizi pubblici.
Si continui dunque pure a usare la parola «concertazione». Ma il suo significato virtuoso rischia di essere consegnato al passato se non si comprende che la sfida davanti a noi oggi è diversa. In un mondo che corre, chi non cammina resta due volte indietro. Nella graduatoria 2001, curata da AT Kearney per il Foreign Policy Magazine, che segnala i paesi che più hanno «aperto» i propri mercati all’integrazione, l’Italia, nelle prime 20 posizioni, semplicemente non c’è.
A guidarla, Irlanda, Svizzera, Olanda: i paesi che vantano i maggiori successi contro la disoccupazione. Chi oggi rivendica la concertazione ma difende l’immobilismo farà pure battaglie politiche legittime, ma non di sinistra. Perché porta sulla coscienza i disoccupati aggiuntivi che l’immobilismo arreca all’Italia.
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gennaio 16, 2001