Corre il rischio di passare per provocatore chi propone di aumentare il limite di velocità sulle autostrade, e lo fa in questo luglio roventato dal caldo e dalle polemiche. Invece la mia proposta di portare il limite di velocità da 130 a 140 km all’ora è seria e ragionevole, per quanto paradossale possa sembrare.
Mettiamo subito in chiaro una cosa: l’opportunità di vietare le velocità eccessive è fuori discussione; circa 1/5 di tutti gli incidenti gravi sulle autostrade sono attribuiti alla velocità eccessivi, il 10% degli incidenti gravi avvengono sulle autostrade (il 40 avviene nelle strade urbane). Il punto è: che cosa vuol dire «eccessivo».
Per il legislatore eccessivo era più di 120 nel 1974, di 110 nel 1988, di 130 dal 1989. Per il guidatore medio — basta fare un esame di coscienza — «eccessivo» è un’altra cosa, c’è una differenza netta tra velocità legale e quella considerata eccessiva dall’automobilista.
Proviamo a esaminare il problema con mente sgombra da ogni preconcetto, come se lo affrontassimo per la prima volta. Cerchiamo di cogliere il fenomeno in uno sguardo che tutto lo comprenda: le autostrade ci appaiono come alvei in cui si muovono fiumi di veicoli, condotti da guidatori che, nella stragrande maggioranza, per andare dal luogo di partenza al luogo di arrivo adottano una condotta di guida che consenta di farlo nel minor tempo possibile e che eviti di esporli a rischi inutili. La somma di milioni di decisioni razionali produce un risultato globalmente di grande efficienza.
Il legislatore dovrebbe allora eliminare i comportamenti irresponsabili, isolandoli e punendoli, ma guardandosi bene dall’inserire con un processo che produce un suo ordine spontaneo. Se chiedesse aiuto a uno statistico, questi gli suggerirebbe di analizzare il fenomeno registrando le velocità — poniamo — di 1000 veicoli, dividendoli in 100 gruppi di 10 veicoli ciascuno: nel primo le dieci vetture più veloci, nel secondo le dieci con velocità immediatamente inferiore e così via. Basta scartare i primi 10 o 15 gruppi con le velocità più elevate e prendere come velocità massima consentita quella del primo gruppo non scartato. In questo modo si stabilisce quanti sono i guidatori che stanno fuori norma: ma il 90 o 1’85 % non deve modificare la propria condotta di guida. La mia convinzione è che la velocità così determinata è superiore non solo al limite oggi in vigore dei 130 km/ora attuali ma anche ai 140 che io propongo.
Sono anche convinto che con un limite più realistico la repressione degli abusi sarebbe molto più efficace. Infatti, le risorse che lo Stato può dedicare alla repressione dell’inosservanza della legge sono comunque limitate, vanno concentrate per combattere i fenomeni più gravi e pericolosi. Uno Stato che considerasse quello delle multe come un business, e sí facesse imprenditore investendo in autovelox e auto civetta, non potrebbe più pretendere dai cittadini equità e trasparenza.
A questo punto diviene evidente che la contrapposizione non è tra il partito dei 130 e quello dei 140, ma tra due diverse concezioni di come lo Stato deve regolare la condotta dei cittadini, e che la vera utilità della mia paradossale proposta è di metterne ín luce le differenze. Da una parte c’è il metodo di scegliere arbitrariamente un criterio e di imporre alla realtà di adeguarsi, dall’altra il metodo di analizzare i fenomeni, di riconoscere e preservare gli equilibri spontanei, proteggendoli dagli eccessi anomali. L’uno vede i cittadini come sudditi potenzialmente delinquenti, l’altro come agenti razionali di cui ampliare lo spazio di libertà. L’uno li considera come soggetti che devono essere protetti da sé e dagli altri, l’altro cerca alleati, a cui far capire che l’eliminazione dei comportamenti imprudenti o addirittura irresponsabili è nel loro interesse, perché così si aumenta lo spazio di libertà per i cittadini responsabili e prudenti.
Non c’è solo la fissazione per i limiti di velocità sulle autostrade. Ci sono i caschi sui motorini e le cinture di sicurezza imposti per legge anziché promossi con la persuasione. C’è la strozzatura tra le due metà del Paese «risolta» col divieto dei sorpassi per i Tir, anziché coll’ampliamento del valico e con il potenziamento dell’alternativa ferroviaria. È la stessa logica che proibisce le droghe leggere, che vuole imporre i sindacati alle microimprese, agli autonomi le norme dei lavoratori dipendenti.
La norma deve essere interiorizzata per essere osservata, prima viene l’isolamento e lo stigma sociale della maggioranza dei cittadini e poi la repressione da parte dello Stato. Sono i cittadini nel loro libero convincimento quelli a cui spetta definire ciò che è «eccessivo» e ciò che non lo è. Come esiste il comune senso del pudore, così esiste íl comune senso della velocità. E come oggi ci si spoglia in pubblico assai più che in passato, così non ha senso imporre limiti tanto bassi a veicoli più potenti ma soprattutto molto più sicuri.
luglio 31, 1997