da Peccati Capitali
Il giorno in cui questo numero andrà in edicola, Walter Veltroni accetterà la candidatura a leader del Partito democratico. Colpisce come, dopo mesi di discussioni, la soluzione sia arrivata con rapidità e facilità, tanto da farla sembrare ovvia. Come per incanto tutte le tessere del puzzle vanno a posto.
Vicesegretario? C’è Dario Franceschini. Sindaco di Roma? Lo sostituirà Gentiloni (che evidentemente non teme la nemesi di quel limite del 45% che voleva imporre a Mediaset). Fassino rimarrebbe senza incarichi? Pronta per lui una vicepresidenza del Consiglio. Timore che le primarie il 14 Ottobre rischino di trasformarsi in un plebiscito? Già si profila un ticket Bersani-Letta (che, oltretutto, quando vanno al Nord non sono in trasferta). Certo, dopo i veleni delle intercettazioni, dopo le contestazioni da destra e da sinistra, dopo i pasticci delle nomine, c’è il desiderio di guardare oltre le difficoltà quotidiane del governare, oltre le difficoltà strutturali del formare coalizione: ma si resta con l’impressione che così sia troppo semplice per esser vero.
Il problema è il Governo. Quello della prossima legislatura di cui, in caso di vittoria, Veltroni è leader in pectore, e di cui dovrà prospettare programma e caratura politica. E quello presente, così logorato da divisioni e da errori. “Veltroni è un transpolitico: rassicura, conforta, istruisce ma anche diverte, come uno zio a trasgressione limitata” (Marco Belpoliti sulla Stampa): limitata sì, ma non tanto da riuscire a non dire mai che cosa ne pensa lui dello scalone e delle tasse, della TAV e di Vicenza. O a non prendere posizione la prossima volta che ci saranno ministri che, in nome di un “risarcimento sociale”, sfideranno TPS e la sua calcolatrice.
L’aver scelto Veltroni quale leader del PD produrrà conseguenze a cascata. Ripropone un topos classico della prima Repubblica, l’inevitabile tensione tra Presidente del Consiglio e segretario del maggior partito della maggioranza che lo sostiene. Non fosse che per evitare di logorarlo con una campagna elettorale di 4 anni, le elezioni anticipate diventano una certezza. Nel 2008 o nel 2009? Ma soprattutto, con quale Governo? Dubbio che al centrosinistra convenga andarci con quello attuale, in così vistoso calo di consensi. Un Governo istituzionale, che faccia la riforma elettorale più forse qualche altra riforma concordata con l’opposizione, potrebbe contenere la devastazione del ciclo elettorale per le finanze pubbliche, e offrirebbe a Veltroni una maggiore libertà di manovra. Potrebbe anche esserci l’ipotesi di un governo suo: ci sarà da chiedersi se, chi la dovesse avanzare, lo farà per preparagli una piattaforma di lancio, o per esporlo a imboscate che lo brucino. L’omicidio politico, Veltroni deve saperlo, non è un peccato capitale; è il suicidio il peccato per cui non c’è perdono.
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giugno 27, 2006