Questo accordo Italtel Siemens rischia di restare coperto dal rumore della campagna elettorale e di non ricevere l’attenzione che merita. Anche le cose logiche sono per loro natura prevedibili, meno atte dunque a fare notizia: ed é logico che sia il cane a mordere l’uomo.
Siemens ha riconosciuto, anche in sede di valutazione economica, il valore delle capacità industriali di Italtel e della sua posizione di mercato. Nel governo dell’azienda la componente italiana ha una posizione di rilievo che dovrebbe garantire che Italiel non sia considerata solo per il peso dei suoi posti di lavoro, da sfruttare nell’assegnazione delle commesse pubbliche (o private?), ma che essa possa venire inserita in un contesto industriale in cui i ruoli nel progettare, sviluppare, produrre, commercializzare siano distribuiti secondo logiche di efficienza, e non secondo egoismi nazionalistici.
Se guardiamo un po’ più in là della presente congiuntura, appare evidente che si sta formando un grande blocco economico al centro dell’Europa, che ha al suo centro la Germania riunificata, e che attrae nella sua orbita gli stati ex-comunisti dell’Est, la Slovenia, la Croazia, un pezzo dell’Europa del Nord, forse parte dell’ex Unione Sovietica. L’Italia, soprattutto il Nord Italia é di questo spazio economico l’hinterland naturale: e sarebbe veramente delittuoso se perdessimo questa occasione, se il regionalismo venisse lasciato decadere a protezione di angusti confini, se il saldarsi di vari populismi ci isolasse anche politicamente dal resto dell’Europa.
Ma proprio perché l’accordo Siemens-Italtel ci ha evitato altre soluzioni (era proprio eccessivo pessimismo temere esiti autarchico-nazionalisti, o populistici, o di resa totale?), proprio perché Italtel ha legato i propri destini al grande oligopolio tedesco, diventano nostri i problemi di politica industriale a livello europeo. E si pensa in particolar modo a quelli della competitività europea, e a quello del controllo pubblico dei comportamenti e delle strategie delle grandi imprese.
Che la competitività europea sia in declino da oltre un decennio é un fatto ormai acquisito: la creazione di posti di lavoro é aumentata dall’80 del 18 per cento (in Usa del 36 per cento); la quota europea nel commercio extra-UE é calata nello stesso periodo dal 22 per cento al 18 per cento, e, tra i prodotti esportati, quelli ad alto contenuto tecnologico pesano solo per un quinto (un terzo per gli Usa); il numero dei brevetti europei non é aumentato dal 1987 (negli Usa é cresciuto del 30 per cento). Tra le cause di questo declino viene indicata la minore esposizione europea alla concorrenza internazionale, soprattutto nell’area delle commesse pubbliche: e la Siemens certamente ha approfittato di questa situazione relativamente protetta. Grazie all’accordo con Italtel, essa aumenta la propria posizione di forza nei mercati europei: é essenziale anche per noi che essa venga sfruttata come punto di partenza per rafforzare la propria posizione sui mercati mondiali. Non é un mistero che oggi le grandi aziende americane (ad esempio General Electric) hanno nel mirino più le aziende europee che quelle giapponesi.
L’Italtel ha per conto suo goduto di una posizione assolutamente anomala sotto questo punto di vista. Nel piano Delors per lo sviluppo e l’occupazione, la telefonia e la telematica ricoprono un ruolo centrale: la tentazione di usare questa opportunità in chiave protezionistica sarà fortissima, il rischio di usare gli standard come strumento di discriminazione, perfino indulgendo a certo perfezionismo teutonico, deve essere sempre tenuto presente.
Discorso analogo si può fare per quanto riguarda il controllo pubblico dei comportamenti del management di grandi aziende private, il tema della cosiddetta corporate governance. Come é noto si confrontano due schemi, quello anglosassone, in cui il controllo é affidato al mercato azionario, ed alle decisioni dei grandi fondi pensione che sostanzialmente detengono le maggioranze di voto; ed il sistema tedesco, in cui il controllo é esercitato dalle grandi banche nel chiuso dei consigli di amministrazione: in cui però i rappresentanti dei lavoratori hanno un peso rilevante che ha contribuito non poco a disinnescare il radicalismo dei conflitti di classe. L’Italia, come é noto, é anche sotto questo aspetto anomala: i grandi gruppi industriali controllano una parte importante degli investitori istituzionali, quelli che canalizzano il risparmio alla proprietà delle imprese. Sia il sistema anglosassone che quello tedesco hanno mostrato, anche in occasioni recenti, i loro limiti, e in ogni caso i confronti rischiano di essere materia di pura accademia: le relazioni tra mercati finanziari cd aziende fanno pane della cultura industriale di un paese, e questa non cambia che in modo lentissimo. Tuttavia, quanto a trasparenza e completezza delle informazioni, le aziende tedesche non sono generalmente dei modelli. Ha destato sensazione la sostanziale revisione dei bilanci e degli utili che ha dovuto fare un’azienda conte la Daimler quando ha voluto quotarsi a New York: una lezione per chi ancora credesse che quella di redigere i bilanci é attività “scientifica” e che le fotografie die essi forniscono sono “oggettive”.
Come ben si vede, si tocca qui un problema centrale, quello di una politica industriale a livello europeo. Si é ben consci che quella di “politica industriale” é una locuzione diventata desueta, che desta immediatamente diffidenza. In Italia in massimo grado, ma anche in Europa, si dovrà imparare a fare di nuovo politica industriale senza che questo componi rigurgiti statalistico-protezionisti, ma al contratto attivando le risorse dell’imprenditoria privata ed esponendola alla concorrenza mondiale. L’accordo riserva un ruolo non dì secondo piano al management italiano: esso dovrà essere usato non solo a protezione del capitale umano e tecnologico dell’Italtel, ma anche per contribuire a far evolvere strategie e politiche del gruppo fuori dalla logica perdente dei national champions. Noi qui, come si soleva dire, veniamo da lontano e l’allievo avrà certo molto da imparare: ma anche il maestro…
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aprile 1, 1994