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In “Fault Lines” Raghuram G.Rajan analizza con lucidità cause ed effetti della crisi economica.
Il risparmio dei paesi emergenti, o l’indebitamento delle famiglie americane, l’avidità dei banchieri o la cattura dei regolatori, il potere delle banche o il laissez faire di Greenspan: nell’alluvionale pubblicistica sulla crisi ognuno ha il suo bersaglio preferito. Ben venga dunque un modello esplicativo che non si limita alla descrizione ma risale una dopo l’altra alle cause, e connette razionalmente cambiamenti sociali ed economici e comportamenti degli operatori, macro e micro.
Raguran Rajan, per farlo, ricorre alla metafora tettonica delle fault lines, le faglie dove si scontrano sistemi sociali ed economici, le linee di frattura dove le tensioni si accumulano e poi scaricano in sismi devastanti.
Una faglia è lo scontro tra le potenzialità del moderno sistema finanziario e l’impossibilità politica per un governo civile che un suo fallimento si ripercuota sui cittadini. Consideriamo le Asset backed securities: il 60% avevano rating AAA, contro solo l’1% dei corporate bonds. L’eventualità di un loro default è il tipico tail risk: a causa dell’assenza di correlazioni estremamente improbabile ma, se succede, disastroso. Gli operatori sono indotti ad ignorare il rischio – tanto, se succede il disastro, ci siamo dentro tutti – e a lucrare il maggior rendimento, soprattutto se il mercato è inondato di liquidità e quindi la concorrenza spietata. Ma se tutti assumono il rischio, i prezzi salgono, e la probabilità che l’evento si verifichi aumenta: non è più un tail risk. Un colossale imbroglio? Ma le stesse banche detenevano in larga quantità i prodotti che avevano confezionato.
Avidità? Ma questa è una costante dell’attività finanziaria, non può spiegare le bolle. Incompetenza? Ma ai vertici delle grandi banche c’erano alcuni dei più raffinati esperti finanziari. Fiducia erroneamente concessa all’ipotesi dei mercati efficienti? Se nell’anno precedente la crisi, le performance migliori l’hanno avuta i titoli delle banche che poi più hanno sofferto, evidentemente i mercati non hanno previsto la crisi. Per alcuni l’ipotesi è da buttare. Per Rajan: sarebbe la risposta sbagliata a un problema mal formulato.
Infatti nessuno ha mai detto che i mercati debbano essere “giusti” in ogni momento, tra l’altro potrebbero non avere tutte le informazioni: qui neppure i regolatori sapevano quanti Abs le banche avessero sui propri libri. Ma soprattutto, anche se il mercato attribuisce le corrette probabilità a tutti gli eventi, uno solo si realizza. A posteriori, nel caso di eventi estremi, sembra che il mercato abbia sbagliato, e così è: ma questo non vuol dire che qualcuno avrebbe potuto far consistentemente meglio. Il modo corretto di giudicare le decisioni prese prima della crisi è se si pensava che prendere il rischio fosse vantaggioso. In questo caso lo era, pur essendo noto che potesse sbucar fuori il cigno nero.
Era vantaggioso per chi aveva azioni, tant’è che spingevano i ceo a prendere rischi ancora maggiori. Lo era per chi aveva obbligazioni che potevano fare default solo in caso di crollo generalizzato a tutto il paese: ma in quel caso il governo avrebbe sostenuto il mercato immobiliare, non può lasciar fallire i milioni di famiglie che ha spinto a comprare una casa. La controprova è che la strategia opposta, attendere il crollo del mercato e comperare a basso prezzo, non ha pagato: l’intervento governativo ha limitato la caduta dei valori degli immobili.
Le faglie si collegano l’un l’altra: faglie sono la disuguaglianza nell’accesso all’istruzione in Usa, causa prima della diseguaglianza di reddito, l’allungarsi del ciclo di disoccupazione dopo una crisi, la politica di offrire alle fasce a basso reddito la possibilità di avere una casa, quasi azzerando le garanzie per ottenere credito. Faglie, dall’altro lato del mondo, sono le traiettorie di crescita export- led di alcuni Paesi in via di sviluppo, le politiche di cambio per creare riserve valutarie. Ma al centro di tutte troviamo il sistema finanziario.
Rajan descrive in dettaglio i rimedi per rimuovere le cause della crisi ed evitarne il ripetersi. Prima di tutto smontare i falsi miti della crisi, reagire al «malinteso senso di inadeguatezza dei mercati e della concorrenza sta inducendo a porre più fiducia nei governi. Ci sono cose che questi possono fare, non certamente guidare il cambiamento e l’innovazione». E conclude: «Abbiamo lasciato che si sviluppassero squilibri politici all’interno dei paesi e squilibri economici tra i paesi. I Governi devono fare di più per aiutare i loro cittadini a dotarsi di capacità che consentano loro di essere più produttivi, ma devono fare un passo indietro in altre aree per permettere ai mercati di funzionare efficacemente. Questa crisi risulta da una confusione tra il ruoli propri dei governi e del mercato: dobbiamo ritrovare il giusto equilibrio». A prima vista la pacatezza sorprende: ma a ben vedere, altro che cap ai bonus e Tobin tax!
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