Intervista di GBB.
Franco Debenedetti, senatore dell’Ulivo, è uomo d’impresa, ma anche uomo della sinistra. La sua apertura alle sollecitazioni di Fazio sulla flessibilità in uscita è un segnale importante. Debenedetti annuncia che, alla ripresa dei lavori parlamentari, ripresenterà il suo disegno di legge in materia: «Se la sinistra, nella scorsa legislatura, l’avesse fatto proprio, sarebbe stato un atto di grande coraggio politico. Oggi è inutile nascondersi, le cose sono del tutto diverse».
Senatore, Fazio da tempo batte sul tasto della flessibilità per far ripartire l’economia: è d’accordo?
«Il governatore, con grande autorevolezza, da tempo sollecita maggiore flessibilità nei contratti come uno dei modi per dare più vivacità all’economia. È un’impostazione ormai ampiamente riconosciuta come valida. Dal mio punto di vista va data al problema una risposta in termini di efficienza ed equità, bilanciando le due esigenze. L’efficienza, non solo dal punto di vista delle imprese, ma dell’intero sistema, è raggiungibile più facilmente se la mobilità da un lato facilita l’assunzione di rischio da parte delle imprese, e dall’altro aumenta la produttività del sistema, rendendo più facile che i posti di lavoro vengano ricoperti dalle persone che hanno le caratteristiche adatte».
La maggiore flessibilità non è dunque solo interesse delle imprese.
«Anche dal punto di vista della sinistra, una risposta di efficienza globale è un interesse collettivo, non solo delle imprese, ma anche dei lavoratori. Flessibilità non vuol dire licenziamento facile, vuol dire togliere delle sicurezze ad alcuni, ma offrirne a chi oggi ne è del tutto sprovvisto. Non c’è flessibilità senza sicurezze: altrimenti, chi ha un posto fisso vi si abbarbica come un’ostrica allo scoglio».
Qual è la caratteristica del suo disegno di legge?
«È un accurato bilanciamento fra sicurezza e flessibilità: leva l’assicurazione a vita del posto di lavoro, ma offre qualche forma di sicurezza ai tanti occupati in contratti atipici, senza tutele. Allo stesso tempo dà alle imprese certezze sui costi dei licenziamenti ma non mette in discussione il principio di giusta causa».
La sinistra è culturalmente pronta ad affrontare questo difficile tema?
«La ragione per cui sostengo il mio disegno di legge è perché si tratta di un provvedimento che avrebbe avvantaggiato la sinistra, se l’avesse fatto proprio. Sarebbe stato un atto di grande coraggio. Inutile nascondersi che, oggi, la situazione è molto diversa: allora era più facile per la sinistra adottare la mia proposta, ora è più difficile. Ma le ragioni alla base del disegno di legge continuano ad essere valide, anche per evitare che vengano avanzate proposte che contengano minore equità».
agosto 19, 2001