Caro Direttore, Mario Pirani, su La Repubblica di ieri, dissente dall’appello contro la faziosità nella campagna elettorale che ho firmato con Michele Salvati, Luciano Cafagna, Paolo Mieli, ed Augusto Barbera. E lo fa per due motivi: il conflitto di interessi e il connesso rischio che, in caso di vittoria Berlusconi, controlli la totalità dell’emittenza televisiva italiana; e la disparità di mezzi finanziari a disposizione di Berlusconi stesso.
Innanzitutto bisogna ricordare che conflitto di interessi e antitrust televisivo sono due problemi distinti: uno attiene alla possibilità che decisioni di governo si volgano a interessi privati del premier; l’altro riguarda il diritto al pluralismo, garantito dalla Costituzione. Sono due grossi problemi, sono due forti ragioni per non votare Berlusconi: lo penso e l’ho sempre detto; su questo, non c’è motivo di contrasto tra me e Pirani. Il punto invece è un altro. Perché un conto è ritenere, come sono convinto, che queste due forti ragioni debbano essere fatte valere nell’ambito di una campagna elettorale ispirata dal principio del legittimo riconoscimento democratico dei due schieramenti che si affrontano per il governo del Paese. Altro conto è sostenere che queste due forti ano, come si me dicono Bobbio Galante Garrone e Sylos Labini, una “minaccia” che mette “in gioco la democrazia”. Adire il vero, Pirani, e glielo riconosco volentieri, non abbraccia integralmente questa seconda prospettiva, ma preferisce schierarsi in una posizione intermedia, interrogandosi se i due problemi non costituiscano “lesione grave di democrazia”.
Ecco perché la mia risposta si indirizza in realtà più che a Pirani a chi propone la scelta “socialisme oubarbarie”. Se dunque l’ipotesi è un rischio per la democrazia, noi, il centrosinistra, maggioranza in parlamento dal 1996, perché non abbiamo fatto niente? Questa domanda comporta due sole soluzioni possibili. O il centrosinistra pensava di governare per sempre, ipotesi illiberale che mi sembra di poter escludere. Oppure il centrosinistra considera il conflitto di interessi un difetto gravissimo di Silvio Berlusconi, ma non tale da renderlo un virus esiziale per il nostro Paese. La domanda che pone Pirani, quando si chiede perché la maggioranza non ha costretto il capo di Mediaset e di Forza Italia a sciogliere questo nodo, può sembrare retorica, ma come si vede non lo è per niente. E poi, che cosa fare, nel caso in cui la destra vincesse le elezioni? Andare in montagna? Paralizzare il Paese con scioperi generali? La minaccia è vuota, e gli elettori sono i primi a rendersene conto.
Diverso è il problema che riguarda il rischio di monopolio televisivo. Io ritengo che solo il mercato sia garanzia di pluralismo. Ma tutte le volte che si è parlato di vendere la Rai, ci si è stracciate le vesti per la sacralità del “servizio pubblico”. Questa è la matrice del problema, che non è di democrazia ma di scelte politiche.
Veniamo infine all’ultimo punto, quello del finanziamento della politica. La mia maniera di concepire una sinistra moderna in Italia è quella di rafforzarla e misurarla sulla capacità di governo. Che cosa ha impedito in questi anni una riforma del finanziamento della politica capace di coniugare una più estesa facoltà della società civile di contribuirvi, con incentivi da un lato e precisi obblighi di trasparenza dall’altro? La mia convinzione è che intervenire sul problema solo penalizzando la facoltà — che esiste ed è un problema serissimo per noi della sinistra — dell’enorme finanziamento che Silvio Berlusconi garantisce alla destra, sia un colossale errore: non solo per il vittimismo che indurrebbe nell’elettorato, ma per il rispetto di una concezione seriamente liberale, che non confonda gli uguali diritti con l’uguaglianza di dei punti arrivo.
In altre parole: la disciplina della par condicio può riguardare strumenti e ambiti della campagna elettorale, ma un Paese liberale non potrà mai pretendere che il gioco degli purché trasparente, si traduca in eguaglianza di risorse a disposizione.
So bene che queste mie convinzioni possono risultare impopolari in una parte della sinistra che, del tutto legittimamente, la pensa diversamente.
Ritengo tuttavia, e in questo mi sento allineato al magistero di prudenza istituzionale di Carlo Azeglio Ciampi, che la sinistra abbia tanti vincenti, e che quindi abbia tutto da guadagnare se può esporli a elettori che ragionani, piuttosto che a folle eccitate per dover scegliere tra Gesù e Barabba. Il conflitto di interessi è un problema per Berlusconi, non per la democrazia nel nostro Paese.
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marzo 15, 2001