Il conflitto d’interessi e la democrazia in Italia

marzo 15, 2001


Pubblicato In: Giornali, La Repubblica


Caro Direttore, Mario Pirani, su La Repubblica di ieri, dissente dall’appello con­tro la faziosità nella campagna elettorale che ho firmato con Mi­chele Salvati, Luciano Cafagna, Paolo Mieli, ed Augusto Barbera. E lo fa per due motivi: il conflitto di interessi e il connesso rischio che, in caso di vittoria Berlusco­ni, controlli la totalità dell’emit­tenza televisiva italiana; e la disparità di mezzi finanziari a di­sposizione di Berlusconi stesso.

Innanzitutto bisogna ricorda­re che conflitto di interessi e an­titrust televisivo sono due pro­blemi distinti: uno attiene alla possibilità che decisioni di go­verno si volgano a interessi privati del premier; l’altro riguarda il diritto al pluralismo, garantito dalla Costituzione. Sono due grossi problemi, sono due forti ragioni per non votare Berlusco­ni: lo penso e l’ho sempre detto; su questo, non c’è motivo di contra­sto tra me e Pirani. Il punto invece è un altro. Perché un conto è ritene­re, come sono convinto, che queste due forti ragioni debbano essere fatte valere nell’ambito di una campagna elettorale ispirata dal principio del legittimo ricono­scimento democratico dei due schieramenti che si affrontano per il governo del Paese. Altro con­to è sostenere che queste due forti ano, come si me dicono Bobbio Galante Garrone e Sylos La­bini, una “minaccia” che mette “in gioco la democrazia”. Adire il vero, Pirani, e glielo riconosco volentieri, non abbraccia integralmente questa seconda pro­spettiva, ma preferisce schierar­si in una posizione intermedia, interrogandosi se i due problemi non costituiscano “lesione grave di democrazia”.

Ecco perché la mia risposta si indirizza in realtà più che a Pira­ni a chi propone la scelta “socia­lisme oubarbarie”. Se dunque l’i­potesi è un rischio per la demo­crazia, noi, il centrosinistra, maggioranza in parlamento dal 1996, perché non abbiamo fatto niente? Questa domanda com­porta due sole soluzioni possibi­li. O il centrosinistra pensava di governare per sempre, ipotesi il­liberale che mi sembra di poter escludere. Oppure il centrosini­stra considera il conflitto di inte­ressi un difetto gravissimo di Sil­vio Berlusconi, ma non tale da renderlo un virus esiziale per il nostro Paese. La domanda che pone Pirani, quando si chiede perché la maggioranza non ha costretto il capo di Mediaset e di Forza Italia a sciogliere questo nodo, può sembrare retorica, ma come si vede non lo è per niente. E poi, che cosa fare, nel caso in cui la destra vincesse le elezioni? Andare in montagna? Paralizza­re il Paese con scioperi generali? La minaccia è vuota, e gli elettori sono i primi a rendersene conto.

Diverso è il problema che riguarda il rischio di monopolio televisivo. Io ritengo che solo il mercato sia garanzia di plurali­smo. Ma tutte le volte che si è par­lato di vendere la Rai, ci si è stracciate le vesti per la sacralità del “servizio pubblico”. Questa è la matrice del problema, che non è di democrazia ma di scelte poli­tiche.

Veniamo infine all’ultimo punto, quello del finanziamento della politica. La mia maniera di concepire una sinistra moderna in Italia è quella di rafforzarla e misurarla sulla capacità di go­verno. Che cosa ha impedito in questi anni una riforma del finanziamento della politica ca­pace di coniugare una più estesa fa­coltà della società civile di contri­buirvi, con incen­tivi da un lato e precisi obblighi di trasparenza dall’altro? La mia convinzione è che intervenire sul problema so­lo penalizzando la facoltà — che esiste ed è un pro­blema serissimo per noi della sinistra — dell’enor­me finanziamen­to che Silvio Ber­lusconi garanti­sce alla destra, sia un colossale er­rore: non solo per il vittimismo che indurrebbe nell’elettorato, ma per il rispetto di una concezione seriamente liberale, che non confonda gli uguali diritti con l’uguaglianza di dei punti arrivo.

In altre parole: la disciplina della par condicio può riguarda­re strumenti e ambiti della campagna elettorale, ma un Paese liberale non potrà mai pretendere che il gioco degli purché trasparente, si traduca in eguaglianza di risorse a disposi­zione.

So bene che queste mie con­vinzioni possono risultare im­popolari in una parte della sini­stra che, del tutto legittimamen­te, la pensa diversamente.

Ritengo tuttavia, e in questo mi sento allineato al magistero di prudenza istituzionale di Carlo Azeglio Ciampi, che la sinistra abbia tanti    vincenti, e che quindi abbia tutto da guada­gnare se può esporli a elettori che ragionani, piuttosto che a folle eccitate per dover scegliere tra Gesù e Barabba. Il conflitto di in­teressi è un problema per Berlu­sconi, non per la democrazia nel nostro Paese.

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