Il capolavoro di Agnelli? Il suo mito

giugno 14, 2006


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da Peccati Capitali

Sfida ardua scrivere storie in cui protagonista è il tempo, il susseguirsi delle generazioni di una grande famiglia, il volgere di un secolo, l’incrociarsi di vicende private e pubbliche. Marco Ferrante (Casa Agnelli, Mondatori, 2007) questa sfida l’affronta con un sentimento intenso, di rispetto e di amore, per le “storie e personaggi dell’ultima dinastia italiana”, avendo sempre presente che “i rapporti umani sono abissi”. Lo dimostra la penetrante attenzione con cui analizza i dettagli delle fotografie in cui i personaggi sono ritratti, tra le cose migliori del libro.

È perché il suo interesse è in primo luogo per le persone, che a Ferrante le loro storie appaiono “amplificate dal peso dell’istituzione, la FIAT”. Un punto di vista che rovescia quello corrente: secondo cui ciò che rileva non è come l’azienda abbia amplificato la storia dei personaggi, ma come e quanto gli Agnelli della terza generazione, quella di Gianni Agnelli, abbiano determinato la storia della FIAT. E quindi dell’imprenditoria italiana, del nostro sistema economico e finanziario, e persino delle vicende politiche degli ultimi quarant’anni. Abbondano i giudizi severi: dal famoso “Avvocato di panna montata” alla più recente accusa di superficialità.

Ciò che queste critiche non colgono è che il risultato dell’impegno di Giovanni Agnelli è la sua stessa vita. La sua vita è stata, per così dire, il suo “prodotto”, a cui ha atteso con costanza e meticolosa precisione: per questo egli dovrebbe essere ricordato, più ancora che per ciò che ha fatto in FIAT. La sua vita è stata, per molti versi, un capolavoro, ma un capolavoro che ha avuto dei costi: dal rapido consumarsi, nei primi tre anni della sua gestione, delle gigantesche riserve di liquidità lasciate da Valletta, ai rifiuti delle vantaggiose offerte di Ford prima e Daimler poi, alle crisi che obbligarono a trasferire il potere a Mediobanca e, poco dopo la sua morte, alle banche del convertendo. Ci sono stati errori di strategia e di conduzione degli uomini, il punto unico di contingenza, le ripercussioni della crisi 1992-93, l’opportunismo politico: ma la sua immagine ne esce apparentemente indenne. Si sono distrutte grandi ricchezze: eppure nessuno è riuscito a restare come lui al centro della scena per tanto tempo ed in modo così coerente con il proprio personaggio.

Più di qualsiasi prodotto di massa, l’auto è capace di far scattare meccanismi di identificazione personale: Forse è per questo che molti tycoon dell’auto – Agnelli, Ford, Porsche, Iacocca, Ferrari – hanno avuto un’immagine che i grandi dell’informatica neppur si sognano. E così, alla resa dei conti, grazie a questa forte personalizzazione, finisce che è proprio la sua storia, il mito costruito intorno a se stesso e alla sua dinastia, il maggiore contributo positivo che Giovanni Agnelli ha dato alla Fiat.

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