di Giuliano Ferrara
Se Paul Krugman dice che il libro di questo Thomas Piketty è la nuova edizione per il nostro secolo dell’anatomia della società civile dell’Ottocento contenuta nel Das Kapital di Marx (in realtà Krugman è spicciativo, scrive in tono entusiasta che è fantastico, il miglior libro da decenni in qua), devo credergli. Se un verbale di commissariato parigino afferma che Piketty le suonava alla moglie, Aurélie Filippetti, ora ministro della Cultura, devo credergli. Se il Wall Street Journal trova il saggio che fa tendenza a Washington ideologico e confuso quanto a dati e interpretazioni, devo credergli.
Se ho capito bene, essendo bene informato ma senza aver ancora letto le settecento pagine fatali in cui l’economista della rive gauche ha raccolto dati e ispirazione letteraria per fare il suo ritratto del capitalismo (riferimenti Balzac e la Austen, e gli indici di crescita del reddito da lavoro e del capital return in dieci paesi, tra i quali l’Italia, in un lungo arco di tempo), la tesi brillante del nouveau économiste è questa: lo sviluppo capitalistico premia sempre di più i redditi da patrimonio finanziario e immobiliare, crea tremende ineguaglianze con i redditi da lavoro e i premi al merito e alla vera produttività, e così ci condanna a un mondo in cui i ricchi sono sempre più ricchi, la crescita dell’economia produttiva e dell’occupazione è rinviata di almeno cent’anni, e manager di cui non si possono calcolare i risultati competitivi come si può fare per l’impiegato di un call center guadagnano cifre stellari fuori da ogni logica di mercato. L’incubo di Piketty è che il capitale incrementa sé stesso e lascia indietro il lavoro produttivo, con questo condannando il mondo a essere diseguale e povero a favore di una classe di ricchissimi.
A me questa sembra la solita solfa di Occupy Wall Street, il movimento stradaiolo di qualche tempo fa che piaceva alla gente che piace, il cui obiettivo è colpire l’1 per cento degli straricchi: un tipico caso di filantropia di massa, alimentato dai non poverissimi George Soros e compagni dell’Upper West Side di Manhattan, un problema sociale risolto da alcune cariche a cavallo nei parchi trasformati in tendopoli di primavera e dall’esito di tutte le bolle sociali, lo scoppio. Magari mi sbaglio e mi toccherà leggere Piketty per capire se l’evoluzione della vecchia tiritera contro l’economia di carta ha prodotto nuove analisi scientifiche, e se per combattere uno squilibrio che distrugge ricchezza sia davvero necessario sequestrare la ricchezza ai ricchi con un’imposta straordinaria sui patrimoni dell’80 per cento (il nouveau économiste non ama le mezze misure).
Intanto mi limito a osservare. Ho passato una bella decina di giorni a San Pietroburgo, in un paese che ricordo oltre mezzo secolo fa come una nebbiosa e infantile favola tolstoiana, corretta dal noir della devozione esistenziale di Dostoevskij. E’ ancora se Dio vuole un mondo prima di Prada, l’autorità non è tutta sequestrata dalle scarpe, ma è l’universo sociale di un ceto medio con una scala di valori magari banale ma non infame: anche qui, nel luogo dell’esperimento novecentesco più serio e tragico, la proletarizzazione universale non c’è stata, le diseguaglianze sono tornate, la democrazia è appena praticabile, lo squilibrio consente alla società di avanzare oltre il mito ideologico, e la bellezza aristocratica del Settecento, combinata con un mediocre ma solido benessere, ha divorato e risputato i sapori acidi di birra e vodka che avevano ubriacato di sogni e di incubi l’ingresso della Russia nel mondo moderno. Avevano ragione Raymond Aron e Alberto Ronchey, a giudicare dai risultati ictu oculi, quando dicevano che senza squilibrio e ineguaglianza non c’è sviluppo e non c’è democrazia o per lo meno un relativo rispetto degli individui, dei loro vizi, dei loro culti, del loro darsi da fare – naturalmente invano – nella ricerca della felicità. Avevano ragione Gogol e Gonciarov, la vita è grottesca e la sua fatica sembra sempre indegna di essere vissuta, ma a giudicare dai risultati il capitalismo, nonostante i capitalisti filantropi americani e gli economisti della rive gauche, è il peggiore sistema sociale ad eccezione di tutti gli altri.
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aprile 30, 2014