Dapprima la questione della piattaforma satellitare ha suscitato preoccupati clamori. Poi c’è stata la presa di distanza del presidente del Consiglio; quindi l’individuazione di appropriate contromisure difensive. Si è definita la strategia: lancio di fumogeni, azioni diversive, fortificazione del quartier generale: e i toni sono ritornati più calmi.
I fumogeni sono gli argomenti nazional-popolari: il grande fratello, la colonizzazione, la concorrenza «sanguinaria», la nostra cultura, il nostro calcio, gli azzurri. Fumogeno, a ben vedere, è già il nome: piattaforma satellitare fa pensare a chissà quale tecnologia, mentre significa acquistare i diritti di trasmissione, e vendere abbonamenti porta a porta.
Per le azioni diversive si mettono in campo gli argomenti seri: nel mercato italiano c’è spazio per due piattaforme? Quali strategie deve adottare Telecom? Argomenti seri ma indecidibili: finché non si prova, se ne può discutere all’infinito.
Questione del numero di piattaforme. Se sono in due a volere lo stesso bene, chi vende spunta un prezzo più alto, chi compera rischia di più: la concorrenza sposta il potere negoziale a favore del proprietario del bene scarso; ma, se il rischio diventa eccessivo, l’impresa non decolla e l’affare va a monte. «Il miglior profitto del monopolio è una vita tranquilla» dice Hicks: non stupisce che molti imprenditori siano a favore della piattaforma unica. Che lo siano quasi tutti quelli che dicono di voler valorizzare i contenuti culturali italiani dalla Scala, al Museo Egizio, al calcio, a prima vista sorprende: in realtà chi lo sostiene fa parte della squadra dei fumogeni.
Andare o no sul satellite? Per Telecom la questione presenta due aspetti. Aspetto strategico: per molti servizi multimediali è tecnicamente conveniente fare la richiesta via telefono e ricevere i programmi via satellite. Per Telecom è fondamentale fatturare al cliente sia la trasmissione di andata che quella di ritorno: per riuscirci non necessariamente deve partecipare all’asta per i diritti del calcio. C’è poi il problema pratico: che fare di Stream? Questa era nata insieme al faraonico piano di cablaggio delle città, che Pascale aveva pensato come «pillola avvelenata» contro la privatizzazione di Stet. Ridimensionato il cablaggio, Stream è passata al satellite, ha accumulato perdite enormi: che fare? Lasciare o raddoppiare la posta?
Infine la fortificazione del quartier generale, la Rai, sempre vicina al centro della politica italiana. A rigor di logica la Rei dovrebbe star lontana dal satellite: richiede risorse finanziarie che non ha, e fa scricchiolare il diritto al canone. Come si fa a prender soldi in nome del servizio universale e spenderli per entrare nel business dei servizi a pagamento? Ma il mestiere appare «innovativo», a quel tavolo si prendono decisioni importanti: business, big money, Rai non può sopportare di essere tagliata fuori. E mentre l’altro dioscuro, Mediaset, si tira fuori e si dichiara poco interessato, arriva provvidenziale Murdoch: dopo aver difeso l’Italia da Berlusconi il partito Rai avrà la missione di difendere l’Italia dallo straniero.
dicembre 5, 1998