Con tutte le gratificazioni, di prestigio e di potere, che dà l’essere a capo di una grande azienda, il mestiere dell’ingegner Schisano, amministratore delegato dell’Alitalia, non è proprio uno di quelli da invidiare. La nostra compagnia di bandiera ha perso 174 milioni di dollari nel 1994; su conti del l 995 peseranno le agitazioni sindacali; scioperi a parte, il livello di servizio è tale che per arrivare puntuali ad un appuntamento bisogna calcolare almeno il doppio del tempo di volo normale; di customer satisfaction non è neppure più il caso di parlare, le reazioni dei passeggeri a volte assomigliano a quelle di una ciurma ammutinata.
E il peggio ha da arrivare: già oggi è possibile il “cabotaggio”, cioè un volo proveniente da Londra può imbarcare a Milano una certa percentuale di passeggeri diretti a Roma, ma dal marzo 1997 cadranno tutti i vincoli, e un aereo immatricolato in Europa potrà servire qualsiasi rotta all’interno della Comunità (sempre che ottenga gli slot…).
Basta poi paragonare il costo di un biglietto Milano Palermo con uno Milano New York per immaginare l’effetto devastante che la concorrenza può avere sui conti Alitalia.
Con tutti i suoi grattacapi, Schisano, detto il texano perché l’ Iri lo prese dalla Texas Instruments Italia, ha almeno il vantaggio di sapere benissimo qual è il suo problema: è quello tipico di tutte le compagnie di bandiera che non sono state privatizzate.
La scelta degli aerei non sarà stata dettata, come alcuni sostengono, da ragioni di pura razionalità; la compagnia di bandiera subirà pure i costi di assicurare servizi su rotte antieconomiche. Ma è quello del personale il problema chiave. E Schisano non si è fatto impressionare: alle pretese dei piloti ha dato una risposta inaudita per il nostro costume, ha affittato aerei (personale compreso) dell’australiana Ansett. Le reazioni del personale Alitalia, Schisano le aveva certamente messe in conto. Anche quelle dell’Iri? Perché adesso l’Iri ha messo due suoi esponenti ad affiancarlo nel consiglio di amministrazione? Due cani da guardia messi alle sue costole per frenarne gli zeli razionalizzatori? Probabilmente è solo una malignità, potrebbe essere vero l’opposto, cioè che l’azionista di maggioranza vuole dimostrare il proprio completo appoggio all’azione del bellicoso ingegnere. Nell’un caso come nell’altro è il riconosci-mento che cercare di rimettere a posto un’azienda, eliminando le cause prime del disastro da noi è operazione eccezionale, da affrontare con mezzi (o con cautele?) eccezionali. Né sembra fuori luogo chiedersi quale aiuto si possa aspettare Schisano da un azionista che comunque ha la responsabilità dello stato a cui sono arrivate le cose.
Nel 1994, delle 125 (centoventicinque!) compagnie aeree europee, le cinque migliori (per la cronaca, British, Lufthansa, Klm, Sas, Swissair) hanno guadagnato 1,2 miliardi di dollari, le cinque peggiori (Air France, Alitalia, Iberia, Olympic, Tap) ne hanno perso 1,5. Non può essere un caso se le cinque migliori sono tutte private e le cinque peggiori tutte pubbliche.
Dal 1990 l’industria europea ha perso 40 mila posti di lavoro, e si pensa che ne debba perdere altri 20mila, la maggior parte nelle aziende ancora di Stato.
Alcuni hanno suggerito che la cosa migliore sarebbe regalare l’Alitalia ai dipendenti. Schisano sa bene che Alitalia non può più aspirare ad altro che a svolgere il ruolo di una linea regionale, integrata in una delle reti di alleanze che si vanno stringendo dalle due parti dell’Atlantico, ma vorrebbe poterci arrivare con conti meno disastrati.
Può darsi che il malcontento sia talmente generalizzato da far vincere a Schisano la sua partita. Ma l’istinto a proteggere le nicchie dei privilegi acquisiti è una pianta dalle radici profondissime. Un altro esempio sempre in tema di trasporto aereo: la legge sulla privatizzazione degli aeroporti prevede che questi possano dare in subconcessione molti dei servizi svolti (bigliettazione, movimento aerei sui piazzali, rifornimento) ad imprese specializzate e l’assistenza a terra alle linee aeree: ma attenzione, solo a patto che si impegnino ad assumere tutto il personale precedentemente impiegato. E sì che qui non si tratta di difendere i dipendenti dell’Efim o delle miniere sarde: i grandi aeroporti gestiti bene sono imprese in sicura crescita, la Baa, la società degli aeroporti inglesi, ha avuto (vedi caso dopo la privatizzazione) una crescita verticale di volume d’affari e redditività. Per individuare dove si annidano i tabù dei diritti acquisiti, le nicchie di interessi e le corporazioni che vi montano la guardia, si potrebbe tenere una rubrica: e “Uomini & Business” potrebbe di ventare un settimanale.
settembre 1, 1995