Però, queste zie! Quella di Berlusconi gli chiedeva di difenderla dai comunisti; la zia di Giarda, allora sottosegretario al Tesoro, gli chiedeva se, con le azioni Enel, avrebbe potuto comperarsi anche un pezzo di monopolio elettrico. La zia di Balassone riesce a utilizzare “i bravi giornalisti, i bravi attori, i bravi conduttori” della Tv come “segni per classificare il flusso della propria vita”!
Lasciando a cotanta zia il confrontarsi con questo esistenziale problema, preferisco seguire il nipote nel più prosaico esercizio di individuare i flussi di risorse pubblicitarie che alimenteranno la televisione. Secondo il disegno di legge Maccanico nessuna impresa potrà avere più del 30% delle risorse globali del settore, compresi quindi cavo e satellite. L’impresa che trasmette via etere è dunque bloccata nel cercare di guadagnare quotC ‘di mercato ai danni del concorrente (e non si argomenta qui quanto sia discutibile una scelta che di fatto restringe la concorrenza); i suoi ricavi tradizionali in tutto il mondo crescono ormai in modo contenuto. Per aumentare il suo fatturato deve contare sulla crescita del mercato globale, cioè dei segmenti cavo e satellite. Prevenendo invece la fine della prospettiva di un aumento dei ricavi pubblicitari, Balassone mostra di credere che in Italia, a differenza del resto del mondo, non ci sarà grande sviluppo della Tv via cavo e satellitare.
Perché? Balassone non lo dice, ma la ragione è chiara: questa legge, non prevedendo la regolamentazione asimmetrica verso Stet, disincentiva l’entrata di nuovi operatori nella Tv via cavo, e quindi lo sviluppo di quel settore.
Balassone teme dunque un futuro nero per la propria zia seduta in poltrona davanti alla Tv: Mediaset e Rai dovranno spendere i ( propri soldi per comperare i film americani di successo e riempiranno il resto delle ore di trasmissione con film di terz’ordine ceduti a prezzi marginali. Ben venga dunque, dice Balassone, la legge Maccanico che impone misure protezionistiche a favore di prodotti europei. Come per tutte le misure protezionistiche si tratta di vedere dove vanno a finire le risorse. Balassone rassicura le zie d’Italia: garantirà lui dell’oculatezza delle scelte e della qualità del risultato. Noi che leggiamo le quotidiane cronache dell’epica lottizzazione in corso alla Rai, qualche dubbio l’abbiamo: e se andassero in stipendi?
Ma le misure protezionistiche bisogna finanziarle. Scartata la via virtuosa, ma impolitica, di ridurre le spese, limitata da questa legge la possibilità di crescita nell’etere, Balassone addita la strada della diversificazione: soluzione classica, e classicamente perniciosa. L’erba del vicino è sempre più verde: investendo in telefoni, editoria elettronica, Tv digitale si dovrebbe ricavarne tanto da remunerare non solo il capitale così investito, ma da coprire anche le spese di altri settori. A parte la fallacia economica di simile argomento, qui bisogna mettere un punto fermo. Leggiamo quotidianamente delle battaglie in corso nel mondo delle comunicazioni, imprenditori come Kirch, Bertelsmann, Murdoch si giocano la partita a colpi di miliardi di dollari. Con tutta la stima per Siciliano oggi (e tutti gli auguri a Balassone domani?), non vediamo come un’azienda in cui l’intero organigramma, dai vertici ai caporedattori, è il risultato di complicatissime alchimie politiche, di settimane spese in bizantine discussioni, che deve sottostare ad una commissione parlamentare di vigilanza, abbia se non altro la capacità decisionale per giocare a un tavolo in cui le fiches sono da 1.000 miliardi l’una.
“La sfida è talmente audace da sembrare temeraria” conclude Balassone: saremo felici se per lui sarà “più divertente fare la Tv”. Ma per evitare “eventuali sobbalzi” chiediamo che si metta un limite fermo alla ricerca delle novità. Perché, se perde Kirch, son soldi suoi, mentre se perde la Rai son soldi nostri: e anche delle care ziette.
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agosto 3, 1996