Nei prossimi giorni il Governo rendera’ note le nomine Consob, il presidente e due commissari.
Saranno di rilevanza ancor maggiore di quelle – pur importanti- che hanno ridisegnato i vertici delle grandi aziende di stato, Enel, Stet, Ferrovie: perche’ dall’insieme di queste nomine si potra’ capire qual è il presupposto culturale con cui si vuole rispondere all’esigenza di trasparenza.
La Consob fu costituita a seguito dello scandalo Sindona. Per il momento in cui hanno luogo, le nomine dei prossimi giorni avranno un significato simbolico di analoga importanza per capire lungo quali strade, verso quali modelli, e con quali garanzie si vuole fare evolvere il mercato italiano dei diritti di proprieta’.
In questa travagliata fase della vita italiana si e’ andato via via rafforzando tra molti osservatori il convincimento che la corruzione pubblica, emersa con Tangentopoli, non sia che una faccia della medaglia, l’altra essendo l’opacita’ nei mercati finanziari e nella gestione delle imprese. E che pertanto la risposta al problema nella sua intierezza debba essere affidato ad una piu’ incisiva e penetrante sorveglianza da parte della magistratura penale.
Non si contano le occasioni pubbliche in cui si sono proposte modifiche a regole societarie, norme di redazioni di bilanci, mercati dei capitali, tutte volte a facilitare l’azione inquisitiva della magistratura penale.
La richiesta di trasparenza e’ cresciuta in tutto il mondo: in conseguenza dell’enorme sviluppo dei mercati finanziari, e dell’esigenza di salvaguardare la crescita economica che essi sostengono. Ma mentre altrove obiettivo e’ la protezione dei diritti degli investitori di minoranza, e strumenti sono la separazione tra proprieta’ e controllo e l’aumento della responsabilita’ degli amministratori, la via italiana alla trasparenza non potrebbe – secondo tale convincimento- che snodarsi sotto l’occhio vigile della magistratura inquirente.
Proprio le nomine Consob rileveranno – prima e forse invece delle revisioni costituzionali che pur sarebbero necessarie in materia di intervento pubblico in economica – se a prevalere sara’ la tesi secondo cui imprese e mercato sono il luogo dove si annida la potenziale corruzione, e dunque da costantemente tenere sotto controllo, con occhiuta sorveglianza; oppure se mercati trasparenti, e protezione dei diritti delle minoranze non possano essere perseguiti facendo leva sull’interesse di tutti. Se si debba impugnare l’arma del pavor o sollecitare la convenienza.
Se gli strumenti da usare in prevalenza debbano essere quelli propri della giustizia penale o se invece questi non debbano restare eccezionali, in presenza di una Consob titolare di una tipologia di interventi assai piu’ incisivi e flessibili di quanto non consenta la limitazione della sua legge istitutiva, e l’inadeguatezza di alcune norme. Si pensa in primo luogo a quelle sull’OPA, varate in fretta e furia nel 92.
I mali di cui soffre l’impresa italiana- sottocapitalizzazione, bassa redditivita’ dell’investimento azionario, vischiosita’ degli assetti proprietari – nulla hanno a che vedere con gli aspetti penali connessi a Tangentopoli; ne’ ad eliminarli puo’ valere la conseguente attivita’ della magistratura.
Quanto distorto sia questo accostamento lo prova l’ormai ricca racccolta di esternazioni di PM incaricati di indagini i quali, estendendo sempre piu’ le fattispecie connesse alle vessazioni che una politica bloccata imponeva alle imprese, hanno finito per teorizzare una sorta di innata propensione a delinquere tanto piu’ accentuata quanto piu’ si estende la mobilita’ dei capitali e l’assenza di vincoli internazionali.
Non servono, ad una regolata evoluzione, processi penali; e sarebbero deleteri processi politici. Tanto per essere espliciti, quelli che la Consob ebbe il merito di non istruire – e cio’ va ricordato ad onore della presidenza Berlanda – in occasione della quotazione di Mediaset, quando pur da piu’ parti si voleva ostacolare il progetto – ma sarebbe piu’ esatto dire distruggere l’azienda -col pretesto dei processi penali incombenti.
La quotazione ha invece contribuito in modo indubbio ad un aumento di trasparenza nel settore. Se non ha risolto il conflitto di interessi, – problema che non e’ di pertinenza Consob- ha pur favorito la separazione tra proprieta’ e controllo. Se si ricorda questo episodio, e’ perche’ un processo analogo e’ quello che sta di fronte a molte aziende italiane, la cui crescita e’ frenata dalla mancata all’apertura del proprio capitale e condizionata all’utilizzo del risparmio intermediato dai mercati finanziari. Un processo che va incoraggiato con la moral suasion, piuttosto che minacciato con l’apertura di fascicoli; che va indirizzato guardando agli assetti futuri da promuovere- attraverso riforma del codice e norme di autoregolamentaione-, piuttosto che ai passati da inquisire; che va fondato sugli interessi piuttosto che sul timore.
Piu’ in generale va accettato, anzi compreso, il meccanismo fondamentale che attiva i mercati, vale a dire l’incompletezza e l’asimmetria di informazione. Discriminare il lecito dall’illecito all’interno di questa zona di incertezza e’ il compito degli organismi di controllo dei mercati: a realizzarlo, l’approccio sanzionatorio e’ controproducente, quello formalistico inutile.
Ecco perche’, se l’obiettivo e’ di palesare chiaramente il presupposto culturale di cui si sono indicate le coordinate, in Consob non servono ne’ PM alla Saint Just, ne’ prestigiosi curricula professionali o accademici ma che possano essere sospettati di dare una lettura politica delle vicende di imprese. E neppure, magari, il meglio di professionalita’ maturate all’interno di Banca d’Italia: a quali concreti elementi infatti appellarsi per ritenere che la sistematica ritrosia a porre in atto concreti interventi di vigilanza sul sistema bancario possa, inopinatamente, tradursi in operosa vocazione all’intervento in ambito di imprese?
febbraio 20, 1997